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Circolare – 04/07/2012, n. 16/2012

Circolare – 04/07/2012, n. 16/2012

lavoratori autonomi – attività in cantiere – indicazioni operative per il personale ispettivo. Sempre più frequentemente nel corso dell’attività di vigilanza svolta nell’ambito del settore edile, si riscontra l’utilizzo improprio di “sedicenti” lavoratori autonomi, formalmente riconducibili alla tipologia contrattuale di cui all’art. 2222 cod.civ., che però di fatto operano in cantiere inseriti nel ciclo produttivo delle imprese esecutrici dei lavori, svolgendo sostanzialmente la medesima attività del personale dipendente delle imprese stesse.

ARTICOLO N.0

Tale fenomeno, dal punto di vista quantitativo, è comprovato dalle rilevazioni effettuale dall’ANCE sui dati ISTAT relativi all’anno 2011, secondo cui il numero di lavoratori autonomi che svolgono attività in cantiere, in assenza di personale alle proprie dipendenze, risulta addirittura superiore rispetto a quello della categoria dei lavoratori subordinati o comunque impiegali in qualità di operai edili (in particolare n. 1.039.000 lavoratori autonomi senza dipendenti a fronte di n. 986.000 lavoratori subordinati).

La suddetta circostanza è spesso aggravata dal ricorso ad ulteriori formule “aggregative” di dubbia legittimità, che prescindono da un’organizzazione d’impresa, costituite nello specifico da associazioni temporanee di lavoratori autonomi ai quali visite affidata, da parte di committenti privati, l’esecuzione anche integrale di intere opere edili.

La situazione, così come complessivamente delineata, presenta evidenti profili di criticità che vanno affrontati sul piano ispettivo, in quanto coinvolgono sia il tema del corretto inquadramento lavoristico delle prestazioni, che quello della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori interessati.

Si ritiene, pertanto, necessario – anche sulla base delle considerazioni contenute nel documento approvato dal “Gruppo edilizia” del Coordinamento tecnico in materia di salute e sicurezza delle Regioni – fornire alcune indicazioni al personale di vigilanza concernenti la verifica della genuinità delle prestazioni qualificate come autonome.

Va premesso innanzitutto che tali indicazioni, lungi dal costituire principi di carattere generale in ordine ai criteri di distinzione tra prestazioni autonome e prestazioni subordinate, sono da intendersi quali mere istruzioni di carattere tecnico che si muovono sul piano della metodologia accertativa, anche mediante l’utilizzazione di “presunzioni operative”, al fine di orientare l’azione del personale ispettivo, uniformandone comportamenti e valutazioni.

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In primo luogo, si ritiene opportuno richiamare la definizione contenuta nella disposizione normativa di cui all’art. 89, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008, e successive modificazioni, ai sensi della quale per lavoratore autonomo si intende la “persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione”.

A tal proposito, va sgombrato il campo dalla pretesa inconciliabilità, in capo allo stesso soggetto, dello “status” di imprenditore autonomo o, addirittura, di imprenditore artigiano con l’eventuale qualifica di lavoratore dipendente; ciò in quanto, anche alla luce del consolidato orientamenento della Suprema Corte, l’imprenditore “tout court”- ovvero l’imprenditore artigiano può svolgere attività di natura subordinata nella misura in cui tale attività non finisca per essere prevalente rispetto a quella di tipo autonomo (cfr. Cass. Sez. Unite n. 3240/2010).

In simili evenienze, elemento significativo ai fini della verifica è senza dubbio quello connesso al possesso e alla disponibilità di una consistente dotazione strumentale, rappresentata da macchine e attrezzature, da cui sia possibile evincere una effettiva, piena ed autonoma capacitò organizzativa e realizzativa delle intere opere da eseguire.

In tal senso occorre constatare se dall’esame della documentazione risulti la proprietà, la disponibilità giuridica o comunque il possesso dell’attrezzatura necessaria per l’esecuzione dei lavori (ponteggi, macchine edili, motocarri, escavatori, apparecchi di sollevamento) e che la stessa sia qualificabile come investimento in beni strumentali, economicamente rilevante ed apprezzabile, risultante dal registro dei beni ammortizzabili. Non rileva, invece, la mera proprietà o il possesso di minuta attrezzatura (secchi, pale, picconi, inanelli, carriole, funi) inidonea a dimostrare resistenza di un’autonoma attività imprenditoriale né la disponibilità delle macchine e attrezzature specifiche per la realizzazione dei lavori data dall’impresa esecutrice o addirittura dal committente, ancorché a titolo oneroso, rappresentando in tale circostanza un elemento sintomatico della non genuinità della prestazione di carattere autonomo. Ciò del resto, è assolutamente in linea con i principi fondamentali che ispirano il D.Lgs. n. 81/2008 il quale, individuando la nozione di ”idoneità tecnico-professionale” dei lavoratori autonomi – la cui verifica è fondamentale da parte del committente/datore di lavoro a pena dell’adozione di sanzioni penalmente rilevanti – fa esplicito riferimento, precedentemente e indipendentemente dall’affidamento del singolo lavoro, alla disponibilità di macchine, di attrezzature e opere provvisionali la cui conformità deve essere peraltro opportunamente documentata (v. allegato 17, D.Lgs. cit.).

Non può da ultimo non ricordarsi, quale ulteriore elemento sintomatico, anche se non decisivo per ciò che riguarda il settore dell’edilizia – in quanto cauterizzato da operazioni temporalmente limitate – il riscontro di un’eventuale monocommittenza.

Tale elemento rappresenta del resto un utile indice per verificare la genuinità o meno del rapporto ‘ autonomo” posto in essere sebbene, come già accennato, questo non sia assolutamente

dirimente, rappresentando un elemento a fortiori di un’eventuale ricostruzione ispettiva.

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Oltre a tali elementi legati alla specifica situazione di fatto oggetto di accertamento, vanno però svolte alcune considerazioni idonee a supportare un regime di “presunzioni” sul piano della tecnica ispettiva che, partendo proprio della definizione del lavoratore autonomo, tentano di inquadrare i margini della citata “autonomia” nell’ambito del ciclo complessivo dell’opera edile.

L’esperienza, infatti, evidenzia come normalmente non siano mai sorti particolari problemi di inquadramento quale prestazione autonoma per tutte quelle attività che intervengono nella fasc del c.d. completamento dell’opera ovvero in sede di finitura e realizzazione impiantistica della stessa

(lavori idraulici, elettrici, post in opera di rivestimenti, operazioni di decoro e di restauro architettonico, montaggio di infissi e controsoffitti).

Diversamente, meno verosimile appare la compatibilità di prestazioni di lavoro di tipo autonomo con riferimento a quelle attività consistenti nella realizzazione di opere strutturali del manufatto, legate fondamentalmente alle operazioni di sbancamento, di costruzione delle fondamenta, di opere in cemento armato e di strutture di elevazione in genere, svolte da specifiche categorie di operai quali quelle del manovale edile, del muratore, del carpentiere e del ferraiolo (cfr. CCNL edilizia).

Lo svolgimento di tali mansioni risulta, infatti, connotato dall’utilizzo di un apposito “cronoprogramma” destinato non solo a pianificare e diverse fasi di esecuzione dell’opera, ma anche a realizzare quel necessario e stretto coordinamento tra lavoratori che assicuri un’attuazione unitaria ed organica delle attività, difficilmente compatibile con una prestazione dotata delle caratteristiche dell’autonomia quanto a “tempi e modalità di esecuzione” dei lavori.

Più in particolare, nelle attività di realizzazione delle opere in elevazione legate al ciclo del cemento armato ovvero nel montaggio di strutture metalliche e di prefabbricati, le modalità di esecuzione – richiedendo la simultanea presenza di maestranze convergenti alla costruzione di un unico prodotto, in forza di indicazioni tecniche e direttive necessariamente univoche ed unitarie – non si conciliano affatto con pretese forme di autonomia realizzativa dell’opera che è invece il presupposto fondamentale per una corretta identificazione della prestazione secondo la tipologia del lavoro autonomo, cosi come definito dall’art 2222 cod.civ.

Portanto, si può concludere almeno sul piano delle “presunzioni” che uve non emergano fenomeni di conclamata sussistenza di un’effettiva organizzazione aziendale – rappresentata da significativi capitali investiti in attrezzatale e dotazioni strumentali e non vi sia nemmeno un’inequivocabile situazione di pluricommittenza – il perdonale ispettivo è tenuto a ricondurre nell’ambito della nozione di subordinazione, nei confronti del reale beneficiario delle stesse, le prestazioni dei lavoratori autonomi iscritti nel Registro delle Imprese o all’Albo delle imprese artigiane adibiti alle seguenti attività:

– manovalanza;

– muratura;

– carpenteria;

– rimozione amianto;

– posizionamento di ferri e ponti;

– addetti a macchine edili fornite dall’impresa committente o appaltatore.

Si ritiene che la suddetta ricostruzione debba essere effettuata anche nelle ipotesi in cui il committente, assumendo la veste di datore di lavoro, affidi la realizzazione dell’opera esclusivamente a lavoratori autonomi, di fatto totalmente eterodiretti.

In relazione ai provvedimenti sanzionatori da irrogare, si precisa infine che in tutti i casi di disconoscimento della natura autonoma delle prestazioni, il personale ispettivo è tenuto a contestare al soggetto utilizzatore, oltre che le violazioni di natura favolistica connesse alla riconduzione delle suddette prestazioni al lavoro subordinato e le conseguenti evasioni contributive, anche quegli illeciti riscontrabili in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria e di mancata formazione ed informazione dei lavoratori adottando apposito provvedimento di prescrizione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 758/1994.

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