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Circolare n. 33/2009

Circolare n. 33/2009

Oggetto: provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008 – modifiche apportate dall’art. 11 del D.Lgs. n. 106/2009.

Dal 20 agosto u.s. è entrato in vigore il D.Lgs. n. 106/2009, recante “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”. Tra gli istituti di maggior rilievo, ai fini dello svolgimento dell’attività di vigilanza, si segnala l’art. 11 del predetto D.Lgs. n. 106, che modifica significativamente la disciplina del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale già contenuta nell’art. 14 del c.d. T.U. sicurezza.

Il provvedimento di sospensione, sebbene finalizzato “a far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori”, evidenzia contestualmente profili di carattere sanzionatorio legati sia ad un impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria, sia condotte che reiterano gravi violazioni ”in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”.

Partendo da tale considerazione si ritiene quindi opportuno delineare compiutamente gli interventi modificativi al potere di sospensione, fornendo altresì un quadro unitario delle indicazioni di cui occorre tener conto per una corretta applicazione della disciplina. In tal senso si devono pertanto ritenere superate le indicazioni già fornite in materia con precedenti circolari e lettere circolari (circ. n. 29/2006. lett. circ. 22 agosto 2007, circ. n. 24/2007, circ. n. 30/2008) da considerarsi utili solo con riferimento ai provvedimenti emanati sino al 19 agosto u.s.

I soggetti affidatari del potere

In ordine alla individuazione dei soggetti affidatari del potere di sospensione la prima modifica sostanziale da parte del D.Lgs. n. 106/2009 è l’attribuzione della competenza alla adozione del provvedimento interdittivo, non già al personale ispettivo. ma agli organi di vigilanza di questo Ministero e delle AA.SS.LL.

Ciò comporta che titolare del potere è la struttura e cioè “l’Ufficio” da cui dipendono i funzionari ispettivi, Ufficio che in virtù del rapporto interorganico esercita detto potere mediante il proprio personale ispettivo.

Il potere di sospendere una attività imprenditoriale è anzitutto previsto qualora il personale ispettivo di questo Ministero riscontri la presenza sul luogo di lavoro di lavoratori “in nero” nonché “in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro” (si ricorda che è stata abrogata dall’art. 41 del D.L. n. 112/2008. conv. da L. n. 133/2008. l’ipotesi di sospensione legata alla reiterata violazione della disciplina sui tempi di lavoro).

In forza dell’art. 14, comma 11, inoltre, l’accertamento sulla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro deve avvenire “nel rispetto delle competenze in tema di vigilanza”. In sostanza, pertanto, per il personale ispettivo di questo Ministero è possibile sospendere a fronte di violazioni della normativa prevenzionistica in quegli ambiti in cui lo stesso personale ha competenza all’accertamento. Tali ambiti, già individuati dal D.P.C.M. n.

412/1997 sulla scorta dell’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 626/1994, sono ora individuati dall’art. 13, comma 2, del T.U. secondo il quale: la competenza del personale ispettivo del Ministero del lavoro è relativa ai seguenti ambiti:

“a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l’impiego di esplosivi;

b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei;

c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, e della salute (…) in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia dì salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (… ). Evidentemente il personale ispettivo delle AA.SS.LL., in virtù di una competenza di carattere generale in materia di salute e sicurezza, può adottare il provvedimento di sospensione anche in ogni altro ambito o settore merceologico.

“Discrezionalità” del provvedimento

Il D.Lgs. n. 106/2009 mantiene la natura “discrezionale” del provvedimento, giacché è previsto che “gli organi di vigilanza (…) possono adottare provvedimenti di sospensione”. Al riguardo occorre anzitutto precisare che tale “discrezionalità” – nei termini di seguito indicati – investe entrambe le ipotesi di adozione del provvedimento (impiego di lavoratori “in nero” e gravi e reiterate violazioni prevenzionistiche).

Ciò premesso, si ritiene che il provvedimento di sospensione debba essere “di norma” adottato ogni qual volta ne siano accertati i presupposti, salvo valutare circostanze particolari che suggeriscano, sotto il profilo dell’opportunità, di non adottarlo.

Tali circostanze sono anzitutto legate ad esigenze di salute e sicurezza sul lavoro. In altre parole. laddove la sospensione dell’attività possa determinare a sua volta una situazione di maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi è opportuno non emanare alcun provvedimento. In tal senso va dunque precisato che il provvedimento non va adottato quando l’interruzione dell’attività svolta dall’impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori della stessa o delle altre imprese che operano nel cantiere (si pensi, ad esempio, alla sospensione di uno scavo in presenza di una falda d’acqua o a scavi aperti in strade di grande traffico, a demolizioni il cui stato di avanzamento abbia già pregiudicato la stabilità della struttura residua e/o adiacente o, ancora, alla necessità di ultimare eventuali lavori di rimozione di materiali nocivi).

Va poi attentamente valutata l’opportunità di adottare il provvedimento di sospensione in tutte quelle ipotesi in cui si venga a compromettere il regolare funzionamento di una attività di servizio pubblico, anche in concessione (ad es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica, acqua, luce, gas ecc.), così pregiudicando il godimento di diritti costituzionalmente garantiti. Una possibile limitazione all’esercizio di tali diritti trova invece giustificazione laddove il provvedimento di sospensione per gravi e reiterate violazioni della normativa in materia di sicurezza sia funzionale alla tutela del primario diritto costituzionale alla salute di cui all’art. 32 Cost..

In relazione alla sospensione dell’attività imprenditoriale per impiego di lavoratori “in nero”, in considerazione delle evidenti ripercussioni socio-economiche che il provvedimento determinerebbe, si ritiene invece opportuno non adottarlo quando lo stesso rechi un grave danno agli impianti o alle attrezzature (ad es. attività a ciclo continuo) ovvero ai beni (ad es. frutti giunti a maturazione o allevamento animali).

Rispetto a quanto sopra va aggiunto che il nuovo comma 11 bis dell’art. 14 pone un vero e proprio limite alla adozione del provvedimento di sospensione – peraltro in piena sintonia con quanto già delineato nella Direttiva del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 18 settembre 2008 – laddove stabilisce che il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore “in nero” risulti l’unico occupato dall’impresa. Va tuttavia chiarito che, in tale ipotesi, l’eventuale accertamento circa l’impiego di un lavoratore “in nero”, pur non consentendo l’emanazione del provvedimento di sospensione, comporterà l’allontanamento del lavoratore stesso sino al momento in cui il datore di lavoro non abbia provveduto a regolarizzarne la posizione, anche e soprattutto sotto il profilo della sicurezza (ad es. visite mediche, formazione e informazione). Si precisa infine che per lavoratore “occupato” si intende qualsiasi prestatore di lavoro, anche autonomo, a prescindere dalla tipologia contrattuale utilizzata (es. collaboratore familiare, socio lavoratore, associato in partecipazione con apporto di lavoro ecc.).

I presupposti per l’adozione del provvedimento

I presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, secondo quanto già delineato in termini di competenza, sono l’impiego di lavoratori “in nero” oltre una determinata percentuale o le “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”.

A) L’impiego di lavoratori “in nero”
Anzitutto l’art. 14 del T.U. prevede la possibilità, per il solo personale ispettivo del Ministero del lavoro, di adottare il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale qualora si riscontri “l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro”.

La previsione – contenuta, seppure con formulazione parzialmente diversa, già nell’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006 – conferma la nozione di lavoratore “in nero” quale lavoratore “sconosciuto alla P.A.”. In tal senso, il lavoratore “in nero” è dunque quel lavoratore impiegato senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’impiego ovvero previa comunicazioni ad altri Enti come richiesto dalla specifica tipologia contrattuale (v. ad es. lavoro accessorio).

Va peraltro evidenziato che, anche per quanto riguarda il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, il requisito della subordinazione del rapporto non costituisce un elemento essenziale, in coerenza con il complessivo assetto del D.Lgs. n. 81/2008 che ha voluto dettare regole uniformi in materia prevenzionistica prescindendo dalla tipologia di impiego dei lavoratori nell’impresa.

Pertanto potranno considerarsi irregolari:

– tutti quei lavoratori rispetto ai quali non è stata effettuata detta comunicazione al Centro per l’impiego ovvero non siano stati effettuati gli adempimenti previsti dall’art. 23 del D.P.R. n. 1124/1965 (come riformulato dall’art. 39, comma 8, del D.L. n. 112/2008) rispetto ai soggetti ivi indicati;

– nonché tutti i soggetti comunque riconducibili alla ampia nozione di cui all’art. 2. comma 1 lett. a), del D.Lgs. n. 81/2008 rispetto ai quali non si sia provveduto a formalizzare il rapporto, comprendendovi anche i soggetti che pur risultando indicati nella visura della CCIAA in quanto titolari di cariche societarie svolgono attività lavorative a qualsiasi titolo, nonché i lavoratori autonomi occasionali (art. 2222 c.c.) non genuini per i quali dalla documentazione fiscale non si evinca che il versamento sia stato effettuato in loro favore.

In tal senso occorre dunque precisare che, rispetto ai soggetti beneficiari delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’art. 18 della L. n. 196/1997 e rispetto agli allievi “degli istituti di istruzione ed universitari ed i partecipanti ai corsi di .formazione professionale (…)”. stante l’assenza dell’obbligo di invio della comunicazione al Centro per l’impiego (v. note del 14 gennaio e 14 febbraio 2007), la corretta instaurazione del rapporto formativo è verificabile sulla base delle comunicazioni effettuate ai sensi dell’art. 5 del D.M. 25 marzo 1998. n. 142; per quanto concerne i tirocinanti degli studi professionali è altresì possibile verificare la preventiva iscrizione all’Albo di riferimento.

Per quanto poi concerne il sistema di calcolo della percentuale del 20% sufficiente a consentire l’adozione del provvedimento di sospensione, l’art. 14 ha previsto che detta percentuale va individuata sul “totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro” al momento dell’accesso ispettivo (sia lavoratori “in nero” che lavoratori regolarmente assunti). Pertanto, a titolo esemplificativo, nell’ipotesi in cui si rilevi in un’azienda la presenza di 10 lavoratori di cui 3 “in nero”, la percentuale andrà calcolata su base 10 e non su base 7 (cioè i soli lavoratori regolari): ne risulterebbe pertanto che il numero di 3 lavoratori “in nero”, rappresentando il 30% del “totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro”, sarà sufficiente a consentire l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.

B) Le “gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro”
L’adozione del provvedimento di sospensione è possibile altresì a fronte di `”gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro” individuate con decreto di questo Ministero, sentito il Ministero dell’interno e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale sono quelle individuate nell’Allegato I al D.Lgs. n. 81/2008, allegato alla presente.

Il D.Lgs. n. 106/2009, al fine della applicazione del provvedimento di sospensione, stabilisce inoltre che “si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell’organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole”.

In tal senso sarà cura del personale ispettivo verificare l’eventuale sussistenza di violazioni “della stessa indole” da parte del medesimo datore di lavoro, oggetto di prescrizione obbligatoria ovvero di sentenza passata in giudicato.

Ne consegue che la presenza di “più violazioni” – pertanto almeno due, anche contestuali – nei cinque anni successivi rispetto alla prima violazione accertata – con prescrizione obbligatoria ottemperata ovvero con sentenza definitiva – potrà dar luogo all’adozione del provvedimento di sospensione.

Ai sensi del novellato art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008, inoltre, sono da considerarsi “della stessa indole” le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate, nelle more della adozione del decreto citato, nell’Allegato I.

Le violazioni da prendere in considerazione ai fini della adozione del provvedimento, sono evidentemente tutte quelle commesse successivamente all’entrate in vigore del D.Lgs. n. 106/2009 (20 agosto u.s.) – in osservanza del principio di legalità che, anche in tali casi, occorre richiamare – e riferibili alla medesima impresa, indipendentemente dalla persona fisica sanzionata e che ha agito per conto della stessa.

Da ultimo occorre segnalare che, a seguito di sospensione dell’attività imprenditoriale per violazioni in materia di salute e sicurezza e conseguente adozione del provvedimento di prescrizione obbligatoria, potrà ritenersi comunque possibile la prosecuzione dell’attività per il tempo strettamente necessario alla eliminazione delle irregolarità accertate ed in adempimento della prescrizione stessa. In tali occasioni il personale ispettivo avrà evidentemente cura di indicare, nell’ambito della prescrizione, le cautele da adottare in sede di ripristino delle misure di sicurezza.

Effetti del provvedimento

Gli effetti del provvedimento devono essere esaminati sia sotto un profilo “spaziale” che “temporale”.

Secondo la nuova formulazione dell’art. 14, il provvedimento ha anzitutto effetto “in relazione alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni”. Gli effetti del provvedimento vanno dunque circoscritti alla singola unità produttiva, rispetto ai quali sono stati verificati i presupposti per la sua adozione e, con particolare riferimento all’edilizia, all’attività svolta dall’impresa nel singolo cantiere.

Sono il profilo temporale, invece, l’art. 14, comma 11, del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che “in ogni caso di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi”.

Al riguardo è opportuno evidenziare che il differimento degli effetti può aversi nei soli casi di sospensione per lavoro “nero” – salvo le citate “situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi” – e non nei casi di violazioni prevenzionistiche, considerata la finalità che il provvedimento assume in dette circostanze.

Va poi chiarito che il “giorno lavorativo successivo” va inteso quale giorno di apertura dell’Ufficio che ha emanato il provvedimento.

Adozione del provvedimento su “segnalazione”

L’adozione del provvedimento di sospensione può aversi “anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze”. La precisazione del Legislatore delegato era già contenuta nell’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006 (dove era previsto il coinvolgimento specifico di INPS e INAIL) e nell’art. 5 della L. n. 123/2007.

La formulazione normativa va interpretata correttamente al fine di non vanificare lo spirito del potere di sospensione che rimane. almeno in parte, un potere di natura cautelare.

In tal senso va dunque chiarito che, a seguito della ricezione delle segnalazioni tempestivamente inviate (possibilmente via mail con scannerizzazione del verbale o via fax) da parte di altri soggetti pubblici che accertano la sussistenza dei presupposti per la sospensione dell’attività imprenditoriale, l’Ufficio può adottare il provvedimento senza procedere ad ulteriori verifiche, purché non siano trascorsi più di sette giorni dalla data dell’accertamento. Al riguardo si coglie l’occasione per sollecitare la massima collaborazione degli Istituti affinché nelle segnalazioni medesime vengano specificati tutti i presupposti per l’adozione del provvedimento, ivi compresi il numero e le generalità dei lavoratori “in nero” e di quelli presenti sul luogo di lavoro al momento dell’accesso ispettivo,

Revoca dei provvedimento

L’art. 14 del T.U. sicurezza, come modificato sul punto dal D.Lgs. n. 106/2009. prevede che il provvedimento di sospensione può essere revocato da parte dell’organo di vigilanza che lo ha adottato. In tale senso va subito precisato, pertanto, che la revoca del provvedimento compete all’Ufficio che lo ha adottato, anche mediante personale diverso da quello che ha emanato l’atto interdittivo previa verifica della relativa documentazione.

È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell’organo di vigilanza di questo Ministero:

“a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;

b) l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

c) il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a quelle di cui al comma 6 [secondo il quale “è comunque fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti”] pari a 1.500 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e a 2.500 euro nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della ,valute e della sicurezza sul lavoro”.

Va quindi evidenziata la scelta del Legislatore di diversificare l’importo della somma da versare ai fini della revoca, a seconda che la stessa riguardi un provvedimento di sospensione adottato per lavoro irregolare (1.500 euro) o un provvedimento adottato per violazioni prevenzionistiche (2.500 euro).

Qualsiasi sia il numero o la gravità degli illeciti che hanno dato luogo al provvedimento di sospensione, la somma per ottenere la sua revoca sarà dunque di 1.500 o di 2.500 euro. Dette somme, se legate alla revoca di un provvedimento adottato dal personale del Ministero del lavoro, andranno ad incrementare il Fondo per l’occupazione di cui all’art. 1, comma 7, del D:L. 148/1993 (conv. da L. n. 236/1993) e saranno destinate “al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare” individuati con il D.M. di cui all’art. 1, comma 1156 lett. g), della L. n. 296/2006.

Oltre al pagamento delle citate somme è altresì necessaria, ai fini della revoca, la regolarizzazione delle violazioni accertate.

In particolare per quanto riguarda la regolarizzazione delle posizioni lavorative “in nero” occorre precisare che non potranno ammettersi le tipologie contrattuali che richiedono la forma scritta “ad substantiam”, né il lavoro intermittente.

In tal senso, con specifico riferimento al settore dell’edilizia, si coglie l’occasione per ricordare che, configurandosi nella quasi totalità dei casi la violazione di obblighi puniti penalmente (almeno in riferimento all’omessa sorveglianza sanitaria ed alla mancata formazione ed informazione), il personale ispettivo dovrà adottare il provvedimento di prescrizione obbligatoria relativo a tali ipotesi contravvenzionali e verificare, conseguentemente, l’ottemperanza alla prescrizione impartita.

Per quanto attiene alla regolarizzazione di lavoratori extracomunitari “clandestini” e di lavoratori minori illegalmente ammessi al lavoro, ferma restando l’impossibilità di una piena regolarizzazione, sarà comunque necessario provvedere al versamento dei contributi di legge ex art. 2126 c.c.

Va infine precisato che la regolarizzazione dei lavoratori interessati effettuata ancor prima della emanazione del provvedimento di sospensione – certamente possibile in caso di sospensione adottata a distanza di tempo dall’accertamento ed in particolare in caso di provvedimento emanato “su segnalazione delle amministrazioni pubbliche” – determinerà l’annullamento dello stesso in sede di autotutela.

Provvedimento sospensione e sequestro penale

Occorre inoltre precisare i rapporti tra il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale ed il sequestro penale di cui agli arti. 354 e 355 c.p.p.

Al riguardo si ritiene che, qualora emergano le condizioni cautelari per l’adozione del provvedimento penale, il provvedimento amministrativo di cui all’art. 14 del T.U. sicurezza legato a violazioni prevenzionistiche non debba essere adottato, pur in presenza delle relative condizioni.

Ciò, evidentemente, laddove gli ambiti applicativi dei due provvedimenti coincidano (es. sequestro della totalità del cantiere oppure sequestro della zona di cantiere in cui opera l’impresa astrattamente destinataria del provvedimento di sospensione). Solo qualora gli ambiti applicativi dei provvedimenti in questione siano diversi (es. sequestro di un solo piano di un edificio in costruzione) ovvero nelle ipotesi in cui l’A.G. non convalidi il sequestro cautelare, sarà possibile adottare il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale in presenza dei presupposti di legge, stante la natura anche sanzionatoria dello stesso.

Inottemperanza al provvedimento

Sia l’iniziale formulazione dell’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2008, sia quella che scaturisce dalle novità introdotte dal D.Lgs. n. 106/2009, prevedono una specifica sanzione in caso di inottemperanza all’ordine di sospensione. È infatti stabilito che “il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione (…) è punito con l’arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare”.

L’inottemperanza al provvedimento di sospensione emanato per occupazione di lavoratori “in nero”, in quanto sanzionata con pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, sembra potersi far rientrare nell’ambito applicativo della prescrizione obbligatoria di cui all’art. 301 del T.U. sicurezza, secondo il quale “alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero la pena della sola ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758”. In ordine al suo contenuto, la prescrizione consisterà nel sospendere l’attività imprenditoriale sino ad avvenuta regolarizzazione dei lavoratori interessati. Va infatti evidenziato che la prescrizione in esame è legata necessariamente al raggiungimento del fine ultimo che il Legislatore ha inteso perseguire nell’introdurre il potere di sospensione, istituto evidentemente “strumentale” ad una sollecita regolarizzazione delle violazioni accertate.

L’adempimento alla prescrizione obbligatoria, attraverso la regolarizzazione completa delle posizioni lavorative e l’ottenimento della revoca della sospensione attraverso il pagamento della somma aggiuntiva pari ad 1.500 euro, consentirà pertanto l’ammissione al pagamento di del massimo dell’ammenda, pari ad 1.600 euro.

Va da ultimo precisato che, per quanto riguarda l’inottemperanza al provvedimento di sospensione emesso per gravi e reiterate violazioni prevenzionistiche, è prevista invece la sanzione dell’arresto sino a sei mesi, evidentemente non ammessa a prescrizione obbligatoria. In tal caso il personale ispettivo provvederà esclusivamente ad informare l’A.G. della commissione del reato, ferma restando la possibilità, da parte dell’imputato, di richiedere al Giudice l’applicazione della procedura agevolativa di cui all’art. 302 del T.U. sicurezza.

Ricorsi avverso il provvedimento di sospensione

L’art. 14 del T.U. sicurezza prevede la possibilità di ricorrere, in via amministrativa, avverso provvedimenti di sospensione.

Sul punto il D.Lgs. n. 106/2009 non ha apportato modifiche, cosicché è ancora previsto che “avverso i provvedimenti di sospensione (…) è ammesso ricorso, entro 30 giorni, rispettivamente, alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente e al Presidente della Giunta regionale, i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine il provvedimento di sospensione perde efficacia”.

Il Legislatore delegato non ha indicato espressamente i motivi che devono legittimare il ricorso, con ciò lasciando aperta la possibilità di impugnare il provvedimento sia per vizi di merito che di legittimità.

Va poi ricordata inoltre la previsione di una forma di “silenzio incidente”: il mancato pronunciamento sul ricorso da parte della DRL o del Presidente della Giunta regionale – rispettivamente avverso ricorsi per provvedimenti emanati da personale ispettivo del Ministero del lavoro e da personale ispettivo delle AA.SS.LL. – entro il termine di 15 giorni comporta infatti la perdita di efficacia dell’atto interdittivo.

Provvedimento interdittivo alla contrattazione con le PP.AA.

L’art. 14 del T.U. sicurezza, come modificato dal D.Lgs. n. 106/2009, stabilisce che “l’adozione del provvedimento di sospensione è comunicata all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell’emanazione, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche”.

Il provvedimento interdittivo alla contrattazione con le PP.AA. rappresenta un ulteriore strumento di carattere sanzionatorio, accesorio al provvedimento di sospensione legittimamente emanato.

Secondo tale disciplina, dunque, il provvedimento è comunicato o al Ministero delle infrastrutture, così come già previsto dall’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006, ovvero alla Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. La scelta del soggetto destinatario della comunicazione dovrà evidentemente avvenire sulla base della attività svolta dall’impresa sospesa, in modo tale che possa essere emanato un provvedimento interdittivo di durata variabile.

La norma stabilisce al riguardo che la durata del provvedimento:

– è pari alla citata sospensione nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia inferiore al 50% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro;

– è incrementata di un ulteriore periodo di tempo pari al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni nel caso in cui:

a) la percentuale dei lavoratori irregolari sia pari o superiore al 50% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro;

b) nei casi di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

c) nei casi di reiterazione. In tale ipotesi la decorrenza del periodo di interdizione è successiva al termine del precedente periodo di interdizione.

Inoltre, “nel caso di non intervenuta revoca del provvedimento di sospensione entro quattro mesi dalla data della sua emissione, la durata del provvedimento è pari a due anni, fatta salva l’adozione di eventuali successivi provvedimenti di rideterminazione della durata dell’interdizione a seguito dell’acquisizione della revoca della sospensione”.

Occorre dunque sottolineare che il provvedimento di interdizione alla contrattazione con le PP.AA. è strettamente legato alla effettiva durata del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale. Da ciò deriva che, qualora il provvedimento di sospensione, pur efficace, abbia durata pari a zero, la comunicazione di cui sopra non sarà dovuta. Tale circostanza ricorre nelle ipotesi in cui gli effetti del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale siano stati differiti ai sensi del comma 11 bis dell’art. 14 e lo stesso sia stato revocato ancor prima del termine iniziale così individuato.

L’ambito di efficacia dei provvedimenti interdittivi alla contrattazione con le PP.AA., diversamente dal provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, non può evidentemente non riferirsi all’impresa nel suo complesso e quindi ad ogni attività contrattuale posta in essere dalla stessa, nei confronti di qualsiasi Amministrazione Pubblica. Sul punto, peraltro, occorre ricordare che la disposizione si sovrappone inevitabilmente ad altre forme di interdizione alla contrattazione con la P.A. introdotte dal Legislatore, fra le quali quella legata al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), in assenza del quale non è possibile, fra l’altro, la partecipazione ad appalti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Si confida nella osservanza, da parte di cadesti Uffici e del loro personale, delle indicazioni contenute nella presente circolare.

IL DIRETTORE GENERALE (Paolo Ennesi)

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