Contratto di appalto o contratto d’opera

L’art. 26 del D.Lgs 81/08, nel caso di affidamento dei lavori all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi, introduce di fatto obblighi precisi sia a carico dei datori di lavoro committenti che dei datori di lavoro delle ditte incaricate dell’esecuzione dei lavori aggiudicati. Questi obblighi possono essere riassunti in:

– requisiti tecnico – professionali (dell’appaltatore e/o del subappaltatore, co. 1 punto a);

– informazioni da fornire alla ditta appaltatrice (da parte del datore di lavoro committente, co. 1 punto b);

– cooperazione fra datori di lavoro, appaltatori e committenti (intesi come i soggetti citati al co. 2);

– coordinamento della prevenzione e promozione della cooperazione a carico del datore di lavoro committente (co. 3).

 

GIURISPRUDENZA: In tema di infortuni sul lavoro solo il comportamento abnorme del lavoratore esclude la responsabilità del datore di lavoro e non anche un suo comportamento negligente e/o imprudente se vi siano violazione di presidi infortunistici. (Nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva predisposto dispositivi di prevenzione idonei ad evitare le lesioni del lavoratore che aveva proceduto a lavori su lucernai e tetti non avendo altresì disposto le tavole sopra le orditure, e non concedendo al lavoratore dispositivi di protezione individuale anticaduta). (Corte appello L’Aquila, 23/04/2018, n. 1099).

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio con la conseguenza che è riconducibile alla sfera gestionale del direttore di stabilimento, con delega in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, la sottoposizione degli impianti a regolare manutenzione, al fine di rilevare ed eliminare eventuali difetti pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del direttore di stabilimento per l’infortunio occorso a un lavoratore che aveva compiuto una pericolosa operazione per supplire a un difetto di funzionamento di un macchinario, di cui il direttore di stabilimento non era a conoscenza, per non avere predisposto e verificato che il servizio di manutenzione ponesse in essere i necessari controlli e lo tenesse costantemente informato sui loro esiti). (Cassazione penale, sez. IV, 28/03/2018, n. 18409).

Ai sensi dell’art. 38, co. 1, lett. c), D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, è legittima l’esclusione da una gara pubblica dell’impresa il cui amministratore delegato e direttore tecnico ha riportato una condanna penale ex art. 590, co. 3, c.p. per lesioni personali, conseguenti alla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. (T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 24/10/2007, n. 6162).


 

CASO PRATICO

 Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione dell’art. 3, commi 1 e 2, del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177.

In riferimento all’art. 3, co. 1, del D.P.R. 177/2011, – fatto presente che abitualmente da parte delle proprie aziende “con la stipula di un unico contratto di appalto viene affidato, alle imprese appaltatrici o ai lavoratori autonomi, un incarico per operare in più ambienti confinati o sospetti di inquinamento, chiaramente specificati nel contratto, ubicati nell’ambito del ciclo produttivo dell’azienda committente e la cui materiale esecuzione si articola nell’arco temporale della durata del contratto stesso” e che “si tratta, spesso, di attività singolarmente di breve o addirittura di brevissima durata ma che possono essere reiterate più volte nello stesso sito, nell’arco temporale di validità del medesimo contratto” – si chiede se sia corretta l’interpretazione secondo la quale l’attività informativa posta a carico del committente, possa essere considerata validamente espletata per tutta la validità del contratto, una volta che essa sia stata impartita a ciascun lavoratore, prima dell’accesso in ogni specifico sito e non siano cambiate, nel frattempo, le condizioni in cui si deve operare.

In riferimento all’art. 3, co. 2, del D.P.R. 177/2011, – considerato che l’attività di coordinamento del rappresentante del committente rappresenta “una specificazione dell’obbligo di cui all’art. 26 del d.lgs. n. 81 del 2008” e che “coordinare significa mettere in comunicazione le varie fasi delle attività in corso al fine di evitare sovrapposizioni, intralci di attività forieri di potenziali pericoli” – si chiede, inoltre, se sia corretta l’interpretazione secondo la quale l’attività di vigilanza richiesta al rappresentante del datore di lavoro committente dall’art. 3, co. 2, del D.P.R. 177/2011, “non richieda la sua costante presenza sul luogo di lavoro ma si estrinsechi, piuttosto, in una sua efficace attività di sovrintendenza sull’adozione ed efficace attuazione della procedura di lavoro, prevista dall’art. 3, co. 3, del d.p.r. n. 177 del 2011”.

Per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 3, co. 1, del D.P.R. 177/2011, precisato che l’informazione ivi prevista è aggiuntiva e specifica rispetto a quella da impartire ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. n. 81/2008, è chiaro che la finalità del legislatore non sia quella di imporre al datore di lavoro committente l’obbligo di erogare ai lavoratori delle imprese appaltatrici, compreso il datore di lavoro, ove impiegato nelle medesime attività, o ai lavoratori autonomi, una informazione inutilmente ripetitiva, ma piuttosto quella di assicurare, come puntualmente precisa la norma, che tutti coloro che accedano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente “su tutti i rischi esistenti negli ambienti, ivi compresi quelli derivanti dai precedenti utilizzi degli ambienti di lavoro, e sulle misure di prevenzione e emergenza adottate in relazione alla propria attività”, affinché essi ne possano tener conto nel momento in cui vi debbano entrare e lavorare.

Ciò comporta che al duplice fine, da un lato di garantire un’informazione puntuale, adeguata e aggiornata, e dall’altro di evitare che la stessa sia inutilmente dilatata a dismisura mediante la mera ripetizione di informazioni già trasmesse, spetti a ciascun datore di lavoro committente valutare, caso per caso, anche e soprattutto sulla base del tempo trascorso dall’ultimo accesso e della possibilità che le condizioni dei siti sospetti di inquinamento o confinati si siano modificate, se l’informazione già necessariamente erogata anche per quel singolo e specifico sito debba, o meno, essere ripetuta.

Per quanto riguarda, invece, l’interpretazione dell’art. 3, co. 2, del D.P.R. 177/2011, è evidente che il ruolo affidato dal legislatore al “rappresentante” che deve essere individuato dal datore di lavoro committente sia del tutto particolare e finalizzato a coordinare le attività che si svolgono nell’intero teatro lavorativo e per tutto il tempo necessario.

Premesso che tale soggetto deve essere adeguatamente formato, addestrato ed edotto di tutti i rischi dell’ambiente in cui debba svolgersi l’attività dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, egli dovrà sovrintendere sull’adozione ed efficace attuazione della procedura di lavoro prevista dall’art. 3, co. 3 del già citato D.P.R. 177/2011, specificatamente diretta ad “eliminare o, ove impossibile, ridurre al minimo i rischi propri delle attività in ambienti confinati, comprensiva della eventuale fase di soccorso e di coordinamento con il sistema di emergenza del Servizio nazionale sanitario e dei Vigili del Fuoco”.

Spetterà quindi, ancora una volta, al datore di lavoro committente la scelta della persona più idonea e delle modalità operative più corrette per svolgere tali compiti, specificando nella procedura adottata se, ed eventualmente quando, sia necessaria la presenza del proprio “rappresentante” direttamente sul luogo di lavoro in cui si effettuano le attività lavorative all’interno degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati.


 

GIURISPRUDENZA: In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di subappalto dei lavori, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall’appaltatore, in esso inserendosi anche l’attività del subappaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, e non venendo meno l’ingerenza dell’appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto meno anche) a lui dell’organizzazione del (comune) cantiere (non cessando egli di essere investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria predetta qualità), sussiste la responsabilità di entrambi tsoggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. Una esclusione di responsabilità dell’appaltatore è configurabile, invece, solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore, e, quindi, ciò non si verifica nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere. (Cassazione penale, sez. IV, 18/06/2015, n. 29798).

In questo contesto i concetti di “requisito tecnico – professionale” e “coordinamento della prevenzione”, oltre a costituire elemento di novità, assumono particolare rilievo in quanto la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali legati all’affidamento di lavori all’interno dell’azienda, in termini quantitativi e di gravità, non può più prescindere da una valutazione preventiva, da parte del datore di lavoro committente, di capacità, risorse e modelli organizzativi posseduti e messi a disposizione dagli appaltatori.

Con il D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui all’art. 26, co. 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze. Tale documento è allegato al contratto di appalto o d’opera. Le disposizioni dell’art. 26, co. 3, del D.Lgs. 81/08 non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.

 

GIURISPRUDENZA: In tema di responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro, l’obbligo di collaborazione prevenzionale tra il committente e l’appaltatore o lavoratore autonomo che hanno assunto il compito di eseguire l’opera, prescinde dalla forma giuridica del contratto concluso dal committente, ed in particolare sussiste sia nel caso di appalto ordinario di opere o servizi, sia nel caso, peraltro vietato, di appalto di manodopera, atteso che in entrambi i casi ricorre l’esigenza di tutela prevenzionale dei lavoratori. (Cassazione penale, sez. III, 11 novembre 2003, n. 2946).

Qualora il committente affidi a soggetto specificamente qualificato l’incarico di coordinatore in materia di sicurezza del lavoro e di prevenzione degli infortuni, tra i compiti del designato rientra il dovere sia di fornire le opportune informazioni sia sui rischi cui vanno incontro i lavoratori per le singole attività svolte dagli stessi, sia sulle misure da adottare per evitare incidenti nell’espletamento della specifico compito, sia di svolgere una costante vigilanza sull’esecuzione dei lavori tramite una regolare presenza in cantiere, affinché le disposizioni date siano concretamente attuate. (Cassazione penale, sez. IV, 20 dicembre 2007, n. 3011).

In tema di valutazione del rischio di cui all’art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il datore di lavoro committente deve tener conto della presenza di ditte o di lavoratori autonomi terzi operanti all’interno dell’ambiente di lavoro in concomitanza dell’espletamento dei lavori affidati in appalto. (In applicazione del principio la Corte ha confermato la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del pluri- committente per le lesioni occorse ai lavoratori dipendenti di un’impresa terza rispetto alle due legate dal contratto di appalto). (Cassazione penale, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5857).

Ai fini dell’operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi ai contratti di appalto, dettati dall’art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro – vale a dire contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione – ma all’effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l’incolumità dei lavoratori (In motivazione la S.C. ha precisato che l’interferenza rilevante deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, avendo riguardo alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi). (Cassazione penale, sez. IV, 17/06/2015, n. 44792).

NOTA: Quando l’opera viene eseguita al di fuori del luogo di lavoro del committente, sull’appaltatore gravano gli oneri economici, riguardanti la remuneratività dell’opera che va ad eseguire, e gli oneri penali, connessi alle violazioni colpose della normativa di sicurezza.

Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli artt. 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 c.c., devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c. i costi relativi alla sicurezza del lavoro con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto. Con riferimento ai contratti di cui al precedente periodo stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro devono essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data.

NOTA: A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture.

Il costo del lavoro deve essere determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

I costi per la sicurezza

Una delle novità sicuramente più rilevanti e interessanti previste dal co. 5, art. 26, è rappresentata dall’obbligo di specificare nei contratti di appalto, di subappalto e di somministrazione i costi relativi alla sicurezza, con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto. In assenza di questa specifica, è prevista la nullità del contratto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1418, codice civile.

GIURISPRUDENZA: Nelle gare pubbliche sono costi per la sicurezza: 1) i “costi da interferenze, contemplati dagli artt. 26 commi 3, 3-ter e 5, d.lg. 9 aprile 2008 n. 81 e 86 comma 3-ter, 87 comma 4, e 131, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, che a) servono a eliminare i rischi da interferenza, intesa come contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore, oppure tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti; b) sono quantificati a monte dalla stazione appaltante, nel D.U.V.R.I (documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze, art. 26, cit. d.lg. n. 81 del 2008) e, per gli appalti di lavori, nel PSC (piano di sicurezza e coordinamento, art. 100, d.lg. n. 81 del 2008); c) non sono soggetti a ribasso, perché ontologicamente diversi dalle prestazioni stricto sensu oggetto di affidamento; 2) i “costi interni o aziendali”, cui si riferiscono l’art. 26 comma 3, quinto periodo, d.lg. n. 81 del 2008 e gli artt. 86 comma 3-bis, e 87 comma 4, secondo periodo, d.lg. n. 163 del 2006, che sono: a) propri di ciascuna impresa connessi alla realizzazione dello specifico appalto, sostanzialmente contemplati dal documento di valutazione dei rischi; b) soggetti a un duplice obbligo in capo all’amministrazione e all’impresa concorrente. (Consiglio di Stato, sez. V, 10/10/2017,  n. 4686).

Per il calcolo dei costi per la sicurezza deve farsi riferimento a quanto emerge dal DUVRI predisposto per lo specifico appalto. Pur in presenza di opinioni non sempre concordi in merito, i costi della sicurezza da riportare nel contratto devono essere intesi come quelli necessari alla messa in atto delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi interferenziali e, quindi, delle misure di cooperazione e di coordinamento riportate, appunto, nel DUVRI. Questi costi, evidenziati proprio in riferimento a quanto stabilito nel DUVRI, non si prestano a ribassi d’asta durante la fase di offerta.

Vale, anche in questo caso, la scadenza del 31 dicembre 2008 per adeguare i contratti esistenti al 25 agosto 2007 e in vigore alla data suddetta.

Si sottolinea che, su richiesta, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali possono accedere a questi dati. Questi soggetti si prefigurano, quindi, in caso di mancata o di carente quantificazione dei costi per la sicurezza nel contratto, come parti interessate alla nullità del contratto stesso.

Per un’indicazione operativa sulle specifiche voci di costo tipiche di queste quantificazioni economiche, è possibile consultare quanto previsto dall’Allegato XV al D.Lgs. n. 81/2008, nel quale, rinforzando ancora una volta i legami con quanto stabilito dal Titolo IV in materia di cantieri, sono stati definiti i costi da stimare nel PSC. Queste voci costituiscono un’utile linea guida anche per gli appalti di cui all’art. 26.


 CASO PRATICO

Ci si interroga in merito all’individuazione di alcune voci di costo per la sicurezza di cui all’allegato XV del D.Lgs. n. 81/2008. In particolare l’interpellante chiede di sapere se, con riferimento alla lett. a) del punto 4.1.1 dell’allegato XV del D.Lgs. n. 81/2008, relativa agli apprestamenti, di cui fanno parte i “baraccamenti”, tra le voci di costo per la sicurezza, oggetto di stima da parte del coordinatore per la progettazione, debbano essere ricomprese, oltre alle spese di installazione iniziale dei baraccamenti (fornitura, trasporto, realizzazione piano di appoggio, realizzazione sottoservizi per allacciamento, montaggio e smontaggio) anche quelle relative a riscaldamento/condizionamento, pulizia e manutenzione.

Preliminarmente si rileva che l’allegato XV del D.Lgs. n. 81/2008, al punto 4.1.1, lett. a) prevede che “nei costi della sicurezza vanno stimati, per tutta la durata delle lavorazioni previste nel cantiere, i costi degli apprestamenti previsti nel piano di sicurezza e coordinamento (PSC)”. Inoltre, il punto 1 dell’allegato XV.1 del decreto citato, richiama tra gli apprestamenti i “[…] gabinetti; locali per lavarsi; spogliatoi; refettori; locali di ricovero e di riposo; dormitori […]”. Tali apprestamenti vengono di norma realizzati mediante utilizzo di monoblocchi prefabbricati, comunemente denominati “baraccamenti”.

Stante quanto sopra e tenuto conto del punto 4.1.3 dell’allegato XV, il quale stabilisce che “le singole voci dei costi della sicurezza vanno calcolate considerando il loro costo di utilizzo per il cantiere interessato che comprende, quando applicabile, la posa in opera ed il successivo smontaggio, l’eventuale manutenzione e l’ammortamento”, se ne deduce che le spese di manutenzione dei suddetti “baraccamenti” vanno ricomprese tra i costi della sicurezza di cui sopra.

Parimenti le spese di riscaldamento/condizionamento nonché di pulizia, risultando necessarie per il corretto utilizzo degli stessi baraccamenti, dovranno essere ricomprese tra i suddetti costi della sicurezza.


 

GIURISPRUDENZA: Nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara, come è dato evincere da un’interpretazione sistematica delle norme regolatrici della materia date dagli artt. 26, co. 6, D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e 86, co. 3 bis, e 87, co. 4, D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163; non appare coerente, infatti, imporre alle stazioni appaltanti di tenere espresso conto nella determinazione del valore economico di tutti gli appalti dell’insieme dei costi della sicurezza, che devono altresì specificare per assicurarne la congruità, e non imporre ai concorrenti, per i soli appalti di lavori, un identico obbligo di indicazione nelle offerte dei loro costi specifici, il cui calcolo, infine, emergerebbe soltanto in via eventuale, nella non indefettibile fase della valutazione dell’anomalia. (Consiglio di Stato ad. plen., 20 marzo 2015, n. 3).

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 86 co. 3-bis e 87 co. 4, codice contratti pubblici di cui al D.Lgs. 12 febbraio 2006, n. 163 e 26 co. 6, t.u. sicurezza sul lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 — al cui rispetto le imprese partecipanti sono tenute anche in assenza di esplicita previsione di lex specialis (che dunque deve ritenersi così eterointegrata) e la cui violazione rende legittima l’esclusione dalla gara — nelle procedure di affidamento di appalti pubblici l’indicazione degli oneri per la sicurezza aziendale costituisce un adempimento inderogabile. (Consiglio di Stato, sez. V, 03/02/2016, n. 424).

Nelle procedure di affidamento di lavori i concorrenti devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara, come si evince da un’interpretazione sistematica delle norme regolatrici della materia date dall’art. 26, co. 6, del D.Lgs. n. 81/2008 e dagli artt. 86, co. 3 bis, e 87, co. 4, del D.Lgs. n. 163/2006. (T.A.R. Latina, (Lazio), sez. I, 02/03/2016, n. 124).

Ai sensi degli artt. 86 co. 3 bis, D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e 26 co. 6, d.lg 9 aprile 2008 n. 81, le imprese partecipanti a procedure concorsuali indette per l’ affidamento di appalti pubblici di lavori non sono obbligate, a pena di esclusione dalla gara, a indicare nella loro offerta economica gli oneri per la sicurezza aziendale. (Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2015, n. 884).

Negli appalti di servizi di natura intellettuale, non occorre indicare gli oneri per la sicurezza, poiché le attività da svolgersi non sono caratterizzate da profili di interesse in tema di sicurezza sul lavoro. In particolare, non si profilano in tale ambito rischi da interferenze esterne (derivanti, ad esempio, dalle particolari condizioni dei luoghi in cui dovrà svolgersi l’attività) ed è per questa ragione che l’art. 26, co. 3 bis, del d.lgs. n. 81/2008, esclude espressamente l’obbligo per la stazione appaltante di indicare detti oneri nel bando di gara. (T.A.R. Genova (Liguria), sez. II, 21 novembre 2014, n. 1690).

Ai sensi degli artt. 86 co. 3-bis, D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e 26 co. 6, d.lg 9 aprile 2008 n. 81, le imprese partecipanti a procedure indette per l’affidamento di appalti pubblici di lavori non sono obbligate, a pena di esclusione dalla gara, a indicare nella loro offerta economica gli oneri per la sicurezza aziendale; di conseguenza è legittima l’aggiudicazione al concorrente che non aveva indicato nella propria offerta economica i costi in questione. (T.A.R. Ancona (Marche), sez. I, 21 novembre 2014, n. 972).

NOTA: Dopo il T.A.R. per il Piemonte (ord. 16 dicembre 2015 n. 1745) e il T.A.R. per il Molise (sentenza 12 febbraio 2016 n. 77), anche il T.A.R. per la Campania solleva la questione di compatibilità con l’ordinamento euro-unitario dell’estensione, introdotta in via interpretativa dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le decisioni 20 marzo 2015 n. 3 e 2 novembre 2015 n. 9, dell’obbligo di indicare specificamente, a pena di esclusione, l’ammontare degli oneri di sicurezza c.d. interni o aziendali, che, per le procedure di affidamento di appalti di servizi e forniture, è stabilito dall’art. 87, quarto co., del d.lgs. n. 163 del 2006. I profili di criticità riguardano il ritenuto contrasto di tale orientamento con i principi, tra gli altri, della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto (atteso che, secondo l’opinione espressa dall’Adunanza plenaria, l’esclusione deve essere disposta pur nel silenzio della normativa primaria e della lex specialis di gara), e con il principio di proporzionalità (secondo il T.A.R., infatti, la sanzione espulsiva è eccessiva rispetto allo scopo di garantire la tutela della sicurezza sul lavoro, che potrebbe invece essere perseguito nell’ambito del sub-procedimento di valutazione della congruità dell’offerta).

GIURISPRUDENZA: È rimessa alla Corte di giustizia dell’Unione europea la questione di compatibilità con l’ordinamento euro-unitario del combinato disposto degli art. 87, co. 4, e 86, co. 3 bis, D.Lgs. n. 163 del 2006, oltre che dell’art. 26, co. 6, D.Lgs. n. 81 del 2008, nell’interpretazione datane dalle decisioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015, secondo cui l’omessa indicazione separata dei costi di sicurezza aziendali nelle offerte economiche di una procedura di affidamento di lavori pubblici determinerebbe in ogni caso l’esclusione del concorrente, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata non sia stato specificato nella legge di gara ed anche a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale. (T.A.R. Napoli, (Campania), sez. I, 24/02/2016, n. 990).

Va rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la soluzione della seguente questione interpretativa: “Se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, unitamente ai principi di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (tfUe), nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza, di cui (da ultimo) alla direttiva n. 2014/24/Ue, ostino ad una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dal combinato disposto degli artt. 87, co. 4, e 86, co. 3 bis, del D.Lgs. n. 163 del 2006, e dall’art. 26, co. 6, del D.Lgs. n. 81 del 2008, così come interpretato, in funzione nomofilattica, ai sensi dell’art. 99 c. proc. amm., dalle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nn. 3 e 9 del 2015, secondo la quale la mancata separata indicazione dei costi di sicurezza aziendale, nelle offerte economiche di una procedura di affidamento di lavori pubblici, determina in ogni caso l’esclusione della ditta offerente, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata non sia stato specificato né nella legge di gara né nell’allegato modello di compilazione per la presentazione delle offerte, ed anche a prescindere dalla circostanza che, dal punto di vista sostanziale, l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale”. (T.A.R. Campobasso, (Molise), sez. I, 12/02/2016, n. 77).

Gli “oneri per la sicurezza”

Gli “oneri per la sicurezza”, previsti dagli artt. 86 e 87, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché da diverse disposizioni del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e oggi disciplinati all’art. 95, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, implicano una serie di categorie di costi suscettibili di scorporo in (almeno) due voci.

I costi per la sicurezza ”da interferenza”

I costi per la sicurezza ”da interferenza” hanno lo scopo di eliminare i rischi da interferenza, intesi quest’ultimi quale contatto tra il personale del committente e quello dell’appaltatore (oppure tra il personale di imprese diverse operanti nella medesima sede sulla base di contratti differenti). Essi sono quantificati direttamente dalla stazione appaltante nell’ambito del D.U.V.R.I. e non sono pertanto soggetti a ribasso.

I costi per la sicurezza del lavoro ”interni”

Differentemente, i costi per la sicurezza del lavoro ”interni” (o “aziendali”) sono solamente riferibili a ciascuna impresa, che è, perciò, obbligata a quantificarli, in vista della valutazione di congruità della Stazione Appaltante, in relazione alla esecuzione dello specifico appalto considerato, secondo le peculiarità della propria organizzazione produttiva.

A fronte di questa distinzione, la quantificazione degli oneri di sicurezza aziendali propriamente intesi resta rimessa all’operatore economico, atteso che la Stazione Appaltante non può ragionevolmente farsi carico del calcolo dei relativi costi senza conoscere l’entità né il funzionamento concreto degli interna corporis del concorrente.

Occorre poi porre l’attenzione su un ulteriore dato preliminare: le previsioni normative di cui al D.Lgs. n. 163/2006 in tema di “oneri interni” si imputano testualmente ai soli appalti di servizi e forniture.

NOTA: Si comprende allora come tale disciplina offra il destro per la manifestazione di opposte opzioni ermeneutiche: le une tendenti a inglobare nel relativo ambito d’applicazione il settore dei lavori pubblici; le altre, volte a escludere, in forza della lettera normativa, siffatta conclusione.

La giurisprudenza

I diversi filoni giurisprudenziali (maggioritari e minoritari) in materia di oneri di sicurezza sono la conseguenza della formulazione poco attenta dell’art. 87, co. 4, D.Lgs. n. 163/2006, in cui si richiama l’esplicitazione degli oneri in relazione alla congruità degli stessi “rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”, senz’altro precisare quanto ai lavori.

Nel vuoto della legge, prendono vita nella giurisprudenza almeno due orientamenti contrapposti.

Il primo richiama la ratio della disposizione in una prospettiva orientata costituzionalmente imponendo ai concorrenti di indicare nell’offerta l’incidenza degli oneri di sicurezza, rispondendo a finalità di tutela dei lavoratori, in base a valori di rilievo costituzionale operanti principalmente nel settore dei lavori pubblici.

In questo ambito, si annotano pronunce che rapportano tale obbligo anche all’ipotesi in cui la legge di gara non precisi alcunchè in proposito, senza che sia invocabile, dall’operatore inadempiente, l’esercizio del soccorso istruttorio da parte della Stazione Appaltante; una differente impostazione contrasterebbe con la par condicio tra i concorrenti, in virtù dell’inammissibilità dell’integrazione postuma della documentazione.

L’opposto orientamento, che si sposta dall’interpretazione letterale dell’art. 87, co. 4, chiarisce che l’obbligo di indicare espressamente gli oneri “interni” dovrebbe identificarsi solo quanto agli appalti di servizi o forniture, poiché, in relazione ai lavori, la quantificazione dei costi è rimessa al Piano di Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.) ex art. 100 D.Lgs. n. 81/2008, predisposto direttamente dalla Stazione Appaltante.

NOTA: In tale contesto si situa un primo intervento dell’Adunanza plenaria, a seguito della rimessione della questione da parte della quinta sezione del Consiglio di Stato (ordinanza 6 gennaio 2015, n. 88).

La sentenza 20 marzo 2015, n. 3, del Consiglio di Stato ha specificato che, posto il pacifico obbligo di indicazione dei costi “interni” quanto ai servizi e alle forniture, “nelle procedure di affidamento relative ai contratti pubblici di lavori i concorrenti de[vo]no indicare nell’offerta economica i costi per la sicurezza interni o aziendali”.

Questa pronuncia si distingue dalla tesi contraria e non tiene conto che, al di là di ragioni sistematiche che militano per la riconducibilità dell’obbligo ai lavori pubblici, il Piano di Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.) “è riferito ai costi di sicurezza quantificati a monte dalla stazione appaltante, specialmente in relazione alle interferenze, e non alla quantificazione dei costi aziendali delle imprese”.

Con riguardo ai profili di diritto intertemporale che discendono dal rapporto tra il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 3/2015 e il soccorso istruttorio, rispetto a gare bandite prima della pubblicazione di tale arresto, va ribadito che “il tradizionale insegnamento in tema di esegesi giurisprudenziale, anche monofilattica, che attribuisce ad essa valore esclusivamente dichiarativo”.

In conclusione “non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2015”.

Va ricordato, inoltre, l’ultimo orientamento ma non meno importate che valorizza l’affidamento dell’operatore economico il quale, fuorviato dalle indicazioni fornite della Stazione Appaltante sulla base di una lex specialis non univoca o escludente l’obbligo di quantificazione dei costi, abbia omesso di indicare nell’offerta gli oneri “interni”; e ciò, in presenza di un panorama normativo dubbio chiarito dalla giurisprudenza.

NOTA: Tale profilo si colloca al di fuori dello scrutinio delle plenarie nn. 3/2015 e 9/2015, riguardando non tanto l’obbligo di conteggiare gli oneri nell’ambito delle differenti tipologie di contratto pubblico, quanto piuttosto la valenza fuorviante dell’operato dell’amministrazione che coesista con un dettato normativo opaco, la cui intepretazione, dovuta “al diritto vivente”, coinvolga canoni del diritto dell’Unione Europea.

Requisiti tecnico – professionali dell’appaltatore

Il D.Lgs 81/08 richiede che il datore di lavoro committente verifichi l’idoneità tecnico – professionale dei soggetti che intervengono nella realizzazione dell’opera o della prestazione affidata. La modificata concezione di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, introdotta proprio dal D.Lgs 81/08 (intesa non più come sola applicazione di norme bensì come acquisizione di capacità organizzative e gestionali per la programmazione della prevenzione in azienda) fa sì che anche l’interpretazione del concetto di requisito tecnico – professionale sia attualizzato e reso più consono alle esigenze introdotte dal decreto stesso.

SUGGERIMENTO: In pratica l’identificazione del requisito non si esaurisce nell’accertamento del possesso delle capacità tecniche ad eseguire determinati lavori (o nella semplice verifica di possesso di iscrizione alla Camera di Commercio), ma implica anche il possesso e la messa a disposizione di risorse, mezzi e personale adeguatamente organizzati al fine di garantire la tutela della salute e della sicurezza sia dei lavoratori impiegati a svolgere l’opera richiesta che di quelli del committente. In altre parole si concretizza nella capacità dell’appaltatore di realizzare sicurezza. Pertanto, la capacità di prevalutare i rischi e di individuare le misure di protezione in relazione all’opera da eseguire, è da considerarsi come requisito tecnico-professionale che la ditta esecutrice deve possedere. Detta valutazione deve avere per oggetto il censimento dei rischi, l’esame degli stessi e la definizione delle misure di sicurezza relative, l’organizzazione del lavoro e la disponibilità di macchine ed attrezzature previste per la realizzazione dell’opera.

 Le macchine e gli impianti devono ovviamente essere corredati della dovuta documentazione inerente la loro conformità alle norme di sicurezza (es. libretti ponteggi, omologazione degli apparecchi di sollevamento, marchio CE delle attrezzature, ecc.).

L’acquisizione di queste informazioni è inoltre elemento necessario per la realizzazione del coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione che il committente deve eventualmente attuare.

NOTA: Indipendentemente da ciò il problema dei requisiti tecnico – professionali è già trattato all’art. 8 della L. 109/94 per l’esecuzione dei pubblici appalti. A questi si può fare eventualmente riferimento se l’opera da eseguire è particolarmente onerosa e impegnativa.

Altri requisiti che l’appaltatore deve possedere, nel caso di esecuzione, manutenzione o trasformazione di particolari impianti sono quelli specificati nel D.M. 22/01/2008 n. 37; questi garantiscono il committente esclusivamente sull’esecuzione degli impianti citati nella legge stessa, che devono essere eseguiti a regola d’arte e secondo le norme di buona tecnica.

Infine possono costituire titolo preferenziale, ai fini della definitiva attribuzione dell’appalto o contratto d’opera, la predisposizione di documentazione inerente:

  • i profili professionali delle maestranze impiegate;
  • il programma degli investimenti attuati e previsti sulla sicurezza.

AVVERTENZA: In caso di subappalto, l’appaltatore verifica l’idoneità tecnico-professionale dei subappaltatori con gli stessi criteri con i quali il committente ha verificato l’idoneità dell’appaltatore stesso; fa comunque eccezione l’esecuzione di lavori pubblici per i quali, invece, il committente deve verificare anche l’idoneità dei subappaltatori (art. 34, L. 109/94).

Tessera di riconoscimento per il personale delle imprese appaltatrici e subappaltatrici

Una novità introdotta dal D.Lgs. 81/08, riguarda le tessere di riconoscimento che il datore di lavoro deve fornire ai dipendenti della sua azienda, sia esso appaltatore o subappaltatore. Nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, a decorrere dal 1° settembre 2007, il personale occupato dall’impresa appaltatrice o subappaltatrice, infatti, deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro.

I lavoratori sono tenuti ad esporre detta tessera di riconoscimento e tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro. Questi sono tenuti a provvedervi per proprio conto.

I datori di lavoro con meno di dieci dipendenti possono assolvere all’obbligo, mediante annotazione degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori su apposito registro vidimato dalla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competente, da tenersi sul luogo di lavoro. A tal fine, nel computo delle unità lavorative, si tiene conto di tutti i lavoratori impiegati a prescindere dalla tipologia dei rapporti di lavoro instaurati, ivi compresi quelli autonomi per i quali si applicano le disposizioni precedentemente chiarite.

Informazione da fornire alla ditta appaltatrice

Le informazioni che il committente deve fornire all’appaltatore devono essere tali ed in quantità sufficiente da permettere a quest’ultimo di valutare i rischi relativi all’ambiente di lavoro e di integrarli con quelli specifici della propria attività in modo da procedere alla predisposizione delle idonee misure di prevenzione.

Queste possono essere sinteticamente riassunte in informazioni relative:

  • ai rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro (cicli di lavoro, macchine e impianti, prevenzione degli incendi, piani di emergenza, sostanze e preparati pericolosi, aree ad accesso controllato, ecc.);
  • alla presenza o assenza dei lavoratori del committente durante l’esecuzione dei lavori;
  • all’utilizzo di attrezzature e servizi del committente per l’esecuzione dei lavori (compatibilmente con la normativa vigente);
  • all’eventuale collaborazione dei lavoratori del committente all’esecuzione dei lavori.

Durante l’esecuzione dell’opera, qualora questa evolva in modo diverso dal previsto (ad esempio per necessità o modifiche intervenute in corso d’opera) e modificando l’utilizzazione e l’organizzazione dei luoghi di lavoro (eventuale accesso non previsto ad aree controllate), le informazioni fornite dal committente devono essere aggiornate in modo che l’appaltatore possa riformulare la relativa valutazione dei rischi.

GIURISPRUDENZA: In tema di infortuni sul lavoro, il committente è corresponsabile con l’appaltatore quando l’evento dannoso si colleghi causalmente anche alla sua colposa azione od omissione. Ciò che può verificarsi quando egli abbia dato precise direttive che costituiscano fonte di pericolo e si sia ingerito nell’esecuzione dell’opera, assumendo in concreto un’attività organizzativa. In tale evenienza, anche il committente diventa destinatario delle norme antinfortunistiche, in quanto egli, ingerendosi nell’attività lavorativa, ha ridotto l’autonomia dell’appaltatore ovvero dell’eventuale direttore dei lavori, assumendo una posizione che contrattualmente non gli spetterebbe: conseguendone che, se l’attività compiuta costituisce fonte di pericolo per la sicurezza dei lavoratori ovvero di terze persone, il committente ben può essere chiamato a rispondere dei reati di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale. (Corte di Cassazione Sezione 4 Penale, Sentenza del 21 ottobre 2005, n. 38868).

 

Cooperazione e coordinamento tra datori di lavoro, committente e appaltatori

La cooperazione, fra lavoratori di diverse imprese nello svolgimento di un lavoro in un stesso ambiente, è una prassi consolidata da tempo e legata alla naturale socializzazione che si crea fra le persone; questa si attua molto spesso attraverso l’uso promiscuo di attrezzature.

L’art. 26 del D.Lgs. 81/08, nel riconoscere in modo implicito questa situazione, chiede che la cooperazione e la collaborazione non siano esclusivamente limitate alla sola realizzazione dei lavori ma anche estese alla prevenzione dei rischi sul lavoro; inoltre ai datori di lavoro (committenti, appaltatori o lavoratori autonomi) viene chiesto di informarsi reciprocamente sull’andamento della situazione dal punto di vista della sicurezza e della salute e di intervenire per eliminare quei rischi dovuti, come negli appalti scorporati o promiscui, alle interferenze fra i lavori di diverse imprese e all’uso comune delle attrezzature. Qualunque sistema mirato ad eliminare i rischi citati, deve essere comunque attuato attraverso il coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione.

Il DUVRI

È necessario, quindi, approfondire le problematiche relative al documento di valutazione dei rischi interferenziali, in quanto strumento fondamentale nella gestione di questo processo.

Per comprendere pienamente quali debbano essere i contenuti del DUVRI è fondamentale comprendere appieno e ricordare sempre le finalità del documento; quando in uno stesso ambiente di lavoro operano più soggetti afferenti a datori di lavoro diversi si creano, oltre ai rischi propri di ciascuna impresa, una serie di rischi aggiuntivi dovuti alle interferenze tra le attività svolte dalle imprese presenti, a vario titolo, nello stesso ambiente di lavoro. Questi rischi di interferenza non rientrano nelle ordinarie valutazioni dei rischi effettuate dai datori di lavoro delle singole imprese che hanno come oggetto, invece, i rischi specifici della propria attività. Il legislatore ha affidato al datore di lavoro committente, quindi, il compito di valutare questi rischi interferenziali e di stabilire le conseguenti misure di prevenzione e di protezione. L’assegnazione è giustificata dal fatto che questo soggetto è in possesso di tutte le informazioni necessarie sulle modalità e sulle tempistiche con cui queste interferenze si genereranno, essendo lui stesso l’organizzatore delle attività affidate all’esterno. Il datore di lavoro committente è, quindi, il regista del coordinamento per la sicurezza quando si parla di interferenze. Questa logica era già presente nella normativa in materia di cantieri temporanei e mobili, confluita nel Titolo IV, D.Lgs. n. 81/2008; con lo strumento del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che presenta modalità di gestione contrattuale analoghe a quelle del DUVRI, si è inteso regolamentare e gestire proprio i rischi interferenziali presenti nei cantieri.

GIURISPRUDENZA: Allorquando un cantiere temporaneo o mobile viene in essere all’interno del processo produttivo di un’impresa, il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, è tenuto: a) nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 26, co. 3, del D.Lgs. n. 81 del 2008; b) nel caso in cui i lavori contemplino l’opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, a nominare il coordinatore per la progettazione, il quale, ai sensi dell’art. 91 del citato D.Lgs., deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale. (Cassazione penale, sez. IV, 12 marzo 2015, n. 14167).

 

Stante le suddette finalità, è necessario comprendere come dovrà essere strutturato il DUVRI. È opportuno premettere che non sussistono, a oggi, prescrizioni vincolanti sui contenuti minimi del DUVRI, per cui è lasciata discrezionalità ai datori di lavoro di elaborarlo in coerenza con le proprie esigenze. Poiché si tratta di un documento ispirato in qualche modo al PSC, potrebbe essere utile consultare, innanzitutto, quanto previsto dall’Allegato XV al D.Lgs. n. 81/2008, il quale ha stabilito quali debbano essere i contenuti minimi di quest’ultimo documento per avere una linea guida utile alla predisposizione del DUVRI.

Rispetto al PSC, che costituisce un documento legato alla presenza di un cantiere temporaneo e mobile e che, quindi, come tale si configura come un documento che si genera in momenti specifici e, appunto, temporanei, il DUVRI si avvia a essere uno strumento costantemente presente nella gestione ordinaria di tutte le aziende. Anche nelle aziende di più piccole dimensioni il numero di appalti/contratti d’opera assegnati nel corso dell’anno è rilevante, assumendo ordini di grandezza straordinari in aziende di grandi dimensioni o con processi che richiedono l’utilizzo costante di imprese esterne. È chiaro, quindi, che le modalità di redazione e di gestione di questo strumento, scelte da ciascuna azienda, dovranno tenere conto necessariamente di questa criticità e dovranno privilegiare, quindi, criteri di semplicità e di efficacia, piuttosto che di burocratico perfezionismo formale.

È opportuno sottolineare, inoltre, che la cooperazione e, soprattutto, il coordinamento durante l’esecuzione delle attività, per avere una reale efficacia di prevenzione degli infortuni, si compongono di elementi certamente di alto livello (per esempio, le tempistiche di intervento di ogni impresa nelle aree, l’uso di impianti comuni, le procedure e i mezzi di gestione delle emergenze ecc.), prevedibili e concordabili anche in fase preliminare all’inizio dei lavori, ma anche di elementi operativi, che possono essere valutati e stabiliti solo, di volta in volta, per la specifica attività, al momento della sua esecuzione. Per quest’ultime, nelle realtà di cantiere, esiste la figura del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) che è specificatamente deputata alla loro gestione. Per gli appalti, è necessario individuare le figure interne aziendali, opportunamente incaricate e formate allo scopo.

Il sistema di gestione interno aziendale del DUVRI dovrebbe prevedere entrambi i due livelli. La prima parte del processo dovrebbe essere gestita congiuntamente dalle funzioni che si occupano di contrattualistica (per esempio, uffici appalti), da quelle richiedenti le attività da affidare in appalto (per esempio, i responsabili di produzione, di manutenzione, di servizi generali ecc.) e da quelle che si occupano di sicurezza (servizio di prevenzione e di protezione), oltre che dal datore di lavoro committente, in assenza di specifica delega interna.

Il DUVRI dovrebbe contenere, prima ancora della valutazione dei rischi di interferenza dello specifico appalto, una serie di norme e di procedure, alle quali ogni singolo appaltatore/lavoratore autonomo dovrà uniformarsi; queste saranno finalizzate per prevenire a monte l’insorgere di rischi da interferenze.

Queste regole dovranno definire, quindi, l’approccio metodologico che dovrà essere utilizzato dagli appaltatori durante la loro permanenza all’interno del sito aziendale. Oltre a queste potranno essere inserite nel DUVRI anche tutte le informazioni previste dall’art. 26, co. 1, lett. b).

Il DUVRI generato in questa fase e allegato al contratto dovrà essere successivamente recepito dalle funzioni operative che si occupano dell’esecuzione dei lavori o della sovrintendenza degli appaltatori esterni (si veda i preposti di reparto, i preposti alle manutenzioni ecc.).

Un opportuno coordinamento operativo con gli appaltatori, gestito da queste figure, si rende necessario per stabilire gli strumenti operativi pratici e di dettaglio per mettere in pratica le misure riportate nel DUVRI. Questa attività potrà trovare evidenza in opportuni strumenti quali, per esempio, verbali di coordinamento, permessi di lavoro o altro. Questi strumenti dovranno verificare, inoltre, la reale fattibilità e, se del caso, la completezza delle misure di prevenzione e di protezione previste dal DUVRI. In caso di necessità, da queste attività di coordinamento operativo dovranno essere generate le richieste di revisione/aggiornamento del DUVRI. In assenza di questo doppio livello, il DUVRI potrebbe rimanere uno dei tanti adempimenti formali, privi di reale utilità.

Cooperazione e coordinamento svolti dal committente datore di lavoro

In base alla medesima disposizione (art. 26), la consistenza degli obblighi del committente, nei confronti dell’appaltatore, viene ad assumere una portata più ampia rispetto alla vecchia normativa.

Ora il committente non può più limitarsi ad “informare l’appaltatore dei rischi presenti in ambiente di lavoro” trascurandone poi nel seguito la concreta gestione della sicurezza. Quindi in base al co. 3 deve promuovere la cooperazione e il coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione.

Emerge quindi la chiara volontà del legislatore di determinare una maggiore responsabilizzazione del committente nel rapporto con l’appaltatore sugli aspetti di sicurezza del lavoro di quest’ultimo, sciogliendo di fatto qualsiasi equivoco sulla presunta possibilità di “non ingerenza” del committente che spesso ha favorito condizioni di rischio per assenza di organizzazione del complessivo lavoro delle più imprese contemporaneamente presenti. Il nuovo ruolo del committente non ha certo le caratteristiche di una “ingerenza” quanto piuttosto quelle di una concreta e fattiva collaborazione (cooperazione) e di coordinamento per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori.

NOTA: Questa volontà era già in parte precedentemente emersa nella L. 55/90 all’art. 18, dove pur con campo di applicazione limitato agli appalti pubblici e con finalità diverse dalla sicurezza, ma comunque positive anche per quest’ultima, il committente era posto al centro di una rete di relazioni con gli appaltatori nella quale doveva svolgere una vera e propria attività di controllo sugli obblighi (contributivi, previdenziali, assicurativi) di questi ultimi. Di conseguenza, si impone un coordinamento e una cooperazione tra le varie imprese, per evitare che l’attività di una esponga a pericolo l’incolumità dei dipendenti delle altre. L’onere del coordinamento attribuito al committente non elimina la responsabilità dell’appaltatore per i rischi propri dell’attività specifica.

Un efficace coordinamento presuppone quindi sia la determinazione di opportune regole di comportamento, sia la programmazione degli interventi di prevenzione, sia l’organizzazione della necessaria vigilanza anche attraverso una verifica della concreta attuazione delle misure di sicurezza.

Ad esempio una possibile modalità di coordinamento degli interventi di prevenzione, può essere effettuata (riferendosi ad esempio: all’art. 22 parte III della Circolare del Ministero del Lavoro n. 13/82 sui prefabbricati; all’art. 18 della L. 55/90; all’art. 26 del D.Lgs. 81/08) predisponendo un piano “antinfortunistico”, o di “sicurezza”, o di “coordinamento” costituito:

  • da un piano di lavoro, dettagliato e concordato con gli appaltatori, completo di una chiara descrizione delle modalità di lavoro, della loro successione cronologica e delle attrezzature utilizzate;
  • dalle procedure di sicurezza da adottare, associate alle varie fasi di lavoro, fino al completamento dell’opera. Le procedure di sicurezza devono prevedere:
    • tutte le soluzioni da adottare per eliminare i rischi dovuti alle interferenze fra i lavori svolti sia dalle ditte appaltatrici (se più di una) che fra quelli svolti da queste e la ditta committente;
    • le modifiche ed integrazioni (se necessarie) dei piani di emergenza;
  • dal flusso delle informazioni che deve essere garantito fino alla fine dei lavori. Il puntuale flusso delle informazioni permette non solo di aggiornare, se necessario e per tutte le modifiche intervenute in corso d’opera, il piano di lavoro ma di ridefinire correttamente, con l’evolversi dei lavori, le valutazioni dei rischi formulate e le procedure di sicurezza adottate.

Il piano deve essere periodicamente verificato ed aggiornato mediante “riunioni di coordinamento” condotte fra committente, appaltatori e relativi rappresentanti dei lavoratori; la periodicità delle riunioni deve essere definita nel “piano di coordinamento” in base alla durata dei lavori, e documentata per iscritto.

In questo modo viene a determinarsi una “pluralità” di intervento sulla prevenzione che può ridurre drasticamente i rischi avendo il committente la responsabilità di vigilanza ma non l’interesse dell’appaltatore a risparmiare sulla sicurezza.

 

GIURISPRUDENZA: In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d’appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall’alto di un operaio operante su un lucernaio). (Cassazione penale, sez. III, 25 febbraio 2015, n. 12228).

L’art. 26 del D.Lgs. 81/08 e attività di cantiere

Il D.Lgs 81/08, nel dettare le prescrizioni minime di sicurezza e salute nei cantieri temporanei o mobili, introduce, a carico del datore di lavoro committente, ulteriori obblighi nel caso in cui l’affidamento di lavori preveda l’attivazione di un cantiere temporaneo o mobile (come definito dal decreto).

Fra questi obblighi particolare importanza riveste la predisposizione del piano di sicurezza e coordinamento costituito essenzialmente da una relazione tecnica, dalle misure di prevenzione dei rischi risultanti dall’eventuale presenza simultanea o successiva delle varie imprese o dei lavoratori autonomi, dalle prescrizioni operative correlate sia alla complessità dell’opera da realizzare che alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione e dai criteri e modalità di utilizzazione di impianti comuni (committente e appaltatore) quali infrastrutture, mezzi logistici e sistemi di protezione collettiva.

AVVERTENZA: In questo specifico caso, e solo in questo, cioè quando è prevista la redazione di un piano di sicurezza e di coordinamento (e la relativa nomina del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori) e contestualmente si verifica l’accettazione/gestione dello stesso da parte delle imprese che concorrono alla realizzazione delle opere, il legislatore considera ottemperati gli obblighi derivanti dall’applicazione dell’art. 26, co. 1, lett. b) e co. 2 del D.Lgs. 81/08, relativi rispettivamente alle informazioni e al coordinamento e cooperazione, nonché quelli derivanti dall’applicazione dell’art. 4 sulla valutazione dei rischi.

Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla discipline vigente degli appalti pubblici, nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto, di cui agli artt. 1559, 1655 e 1656 c.c., devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro. A tali dati possono accedere, su richiesta, il Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza e le Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori.

GIURISPRUDENZA: In tema di reati relativi alla sicurezza sul lavoro, qualora opere ricevute in subappalto vengano, a loro volta, in parte subappaltate ad altri che agisca, con mezzi artigianali, con pochi dipendenti e senza essere dotato di strutture tali da consentire una completa autonomia operativa, mentre è ancora in funzione il cantiere per la realizzazione dell’intera opera subappaltata ed avvalendosi delle attrezzature in questo installate da chi ha ricevuto e dato il subappalto, incombono anche a quest’ultimo, che è responsabile dell’organizzazione del cantiere e del lavoro che ivi si svolge, obblighi di vigilanza in ordine al rispetto delle norme antinfortunistiche e all’osservanza dei comuni precetti di prudenza, perizia e diligenza. (Cassazione penale, sez. IV, 30/01/2018,  n. 10395).


CASO PRATICO

Ci si interroga in merito ai documenti che l’impresa appaltatrice è obbligata a consegnare al Committente. In particolare ci si chiede se ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 l’impresa sia tenuta a consegnare:

  • copia del modello LAV
  • consenso all’utilizzo dei dati sottoscritto da ogni lavoratore;
  • copia del DUVRI della ditta appaltatrice;
  • dichiarazione che i dipendenti dell’impresa sono in possesso del certificato di idoneità fisica;
  • autocertificazione di idoneità tecnico professionale.

Al riguardo va premesso che l’art. 26, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2008 prevede l’obbligo per il datore di lavoro committente, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture di verificare, “con le modalità previste dal Decreto di cui all’art. 6, co. 8, lett. g), l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione”. In attesa dell’emanazione del suddetto decreto, la verifica è eseguita attraverso le seguenti modalità:

1) acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;

2) acquisizione dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneita tecnico professionale, ai sensi dell’art. 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al D.P.R. del 28 dicembre 2000, n. 445.

Il successivo co. stabilisce che “nell’ipotesi di cui al co. 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori:

  1. cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
  2. coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva”.

Si ritiene che, per il rispetto degli adempimenti previsti dal co. 1, dell’art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008, l’acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato e dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, sono elementi sufficienti a soddisfare la valutazione dell’idoneità tecnico professionale.

Inoltre la Commissione sottolinea che il datore di lavoro committente non può chiedere copia del DUVRI, dal momento che la redazione del suddetto documento, da allegare al contratto di appalto o di opera, è un obbligo, nei casi previsti, del datore di lavoro committente; questi può chiedere, viceversa, i documenti e le informazioni necessarie ai fini dell’elaborazione del DUVRI.

Laddove non ricorrano le condizioni per l’elaborazione deI DUVRI restano fermi gli obblighi di cui al co. 2 dell’art. 26, del decreto in parola circa la cooperazione e il coordinamento.


Per quanto riguarda il coordinamento la necessità e l’obbligatorietà di effettuazione vengono rafforzate. Le modalità di coordinamento e gli strumenti proposti si trasformano in veri e propri obblighi e oneri, sempre a carico del datore di lavoro committente, che vanno a completare il già citato piano di sicurezza e coordinamento.

Infine in tutti i restanti casi, cioè nell’attivazione di cantieri di modeste dimensioni, continuano a permanere tutti gli obblighi previsti dall’art. 26 del D.Lgs. 81/08.

SANZIONI PENALI: Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente

Art. 26, co. 1, lett. a): arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.096,00 a 5.260,80 euro [Art. 55, co. 5, lett. b)]

Art. 26, co. 1, lett. b): arresto da due a quattro mesi o ammenda da 822,00 a 4.384,00 euro [Art. 55 co. 5 lett. a)]

Art. 26, co. 2 e 3, primo periodo: arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.644,00 a 6.576,00 euro [Art. 55, co. 5, lett. d)]

Altri soggetti

Art. 26, co. 3, quarto periodo27, e 3-ter: arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.644,00 a 6.576,00 euro [Art. 55, co. 5, lett. d)]

SANZIONI AMMINISTRATIVE: Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente

Art. 26, co. 8: sanzione amministrativa pecuniaria da 109,60 a 548,00 euro per ciascun lavoratore [Art. 55, co. 5, lett. i)]

Concetto di eccezionalità di cui al punto 3.1.4 dell’allegato VI al D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.

Allo scopo di chiarire il reale significato e l’estensione del termine “a titolo eccezionale” nel caso di sollevamento di persone con mezzi non destinati a tale scopo, si ricorda che il punto 3.1.4 dell’allegato VI al D.Lgs. n. 81/08, stabilisce che: “… omissis … a titolo eccezionale, possono essere utilizzate per il sollevamento di persone attrezzature non previste a tal fine a condizione che si siano prese adeguate misure in materia di sicurezza, conformemente a disposizioni di buona tecnica che prevedono il controllo appropriato dei mezzi impiegati e la registrazione di tale controllo; … omissis … “.

Al riguardo, considerato che la disposizione in esame è stata introdotta per garantire in concreto valide condizioni di sicurezza ai lavoratori nelle operazioni di sollevamento svolte con attrezzature non previste a tal fine; si ritiene che la stessa possa trovare applicazione nei seguenti casi:

– quando si tratti di operare in situazioni di emergenza;

– per attività la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire situazioni di pericolo, incidenti imminenti o per organizzare misure di salvataggio;

– quando per l’effettuazione di determinate operazioni rese necessarie dalla specificità del sito o del contesto lavorativo le attrezzature disponibili o ragionevolmente reperibili sul mercato non garantiscono maggiori condizioni di sicurezza.

In definitiva, la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ritiene sia utile, allo scopo di conferire più agevole applicabilità alla previsione di legge, dare i suddetti chiarimenti circa il reale significato del concetto di “eccezionale” richiamato nell’allegato VI al D.lgs. n. 81/08.

Le operazioni di sollevamento persone con attrezzature non specificamente previste, unicamente nei casi indicati, vanno effettuate secondo specifiche procedure di sicurezza che comprendano a valle di una analisi dei rischi, i criteri per la scelta più appropriata delle attrezzature da impiegare, i requisiti delle apparecchiature accessorie da abbinare ad essi, le modalità operative per le varie fasi di lavoro in cui i sistemi così realizzati sono utilizzati nonché quelle per la sorveglianza ed il controllo delle une e delle altre.

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