IL PROTESTO ILLEGITTIMO E LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO di Dalila Loiacono
Il Tribunale di Napoli (Sezione distaccata di Marano – Sentenza del 06.04.2007) ha stabilito che in caso di protesto illegittimo sussiste la responsabilità solidale tra il Notaio e l’Istituto di Credito.
Un primo dato certo è che il Notaio, nell’esercizio della sua professione, è tenuto alla diligenza media di cui all’art. 1176, co. 2, c.c. e che “il controllo e la verifica di conformità allo specimen e di corrispondenza della firma di traenza del correntista rientrano nei doveri di normale attenzione e diligenza del notaio, soprattutto laddove, ictu oculi, sia facilmente accertabile la diversità di sesso tra il titolare del conto corrente, il firmatario dell’assegno e il soggetto contro il quale viene elevato il protesto, avendo il notaio il potere/dovere di chiedere, nei casi dubbi, i chiarimenti opportuni alla banca trattaria che ha indicato i nominativi dei soggetti da protestare”.
La Corte ha altresì, chiarito che la prospettiva di cui all’art. 2236 c.c. “è dettata unicamente in materia di soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, escludendosi solo in tale ipotesi la colpa lieve del professionista”.
IL PROTESTO ILLEGITTIMO E LA RISARCIBILITA’ DEL DANNO di Dalila Loiacono
Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Marano. Con la sentenza del 06.04.2007, l’organo giudicante è intervenuta sulla vicenda di una donna che è stata erroneamente iscritta nel Registro Informatico dei Protestati, statuendo la responsabilità solidale del professionista per la violazione dell’obbligo di cui all’art. 1176 c.c. e della Banca per aver violato il dovere di correttezza e buona fede nell’erronea trasmissione al notaio del nominativo della parte lesa successivamente soggetta al protesto. Nel commento, l’autore trae spunto dalla fattispecie in esame per tratteggiare la responsabilità solidale dell’Istituto di Credito e del Notaio in relazione alla professionalità nello svolgimento della prestazione e al dovere di diligenza della banca, rilevando l’illegittimità del protesto avanzato nei confronti della donna soggetta al procedimento.
Il fatto
La sentenza in commento[1] ha per oggetto l’illegittima levata del protesto nei confronti di una persona, erroneamente iscritta nel Registro Informatico dei Protesti.
Il suo nominativo viene inserito in tale registro con causale: “assegno denunciato smarrito o rubato, assegno recante una firma di traenza relativa al correntista e conforme allo specimen”.
Parte attrice, eccepisce di non aver sottoscritto tale assegno, negando di essere titolare del conto corrente presso la Banca trattaria e afferma, inoltre, che il protesto è stato levato per errore del notaio che ha prodotto formalmente l’atto e della Banca presso la quale era attivo il conto corrente intestato ad altro soggetto.
Nel citare i convenuti, la titolare della ditta su cui si sono riverberati gli effetti negativi del protesto illegittimo, lamenta la produzione di danni alla propria attività imprenditoriale per discredito del buon nome commerciale, soprattutto nei confronti dei suoi grossisti, che hanno conseguentemente interrotto le forniture. La vicenda ha impedito, in aggiunta, i successivi accessi al credito e ai finanziamenti.
Successivamente a quanto descritto viene convenuto in giudizio il Notaio, che contesta e nega ogni addebito, asserendo di aver soltanto elevato il protesto in relazione ai nominativi indicati dalla Banca, e si avvale della chiamata di terzo ovvero l’Assicurazione sulla responsabilità professionale.
Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, accoglie la domanda di parte attrice, ritenendo fondata la responsabilità solidale del Notaio e della Banca, convenuta contumace.
Ordina altresì la cancellazione del nominativo della donna dal Registro Informatico dei Protesti e condanna la Banca e il Notaio, in solido tra loro, al risarcimento di tutti i danni patiti, da quantificarsi in separato giudizio dichiarando l’Assicurazione del Notaio a manlevare il suo assicurato da ogni conseguenza della condanna nei limiti e secondo le condizioni stabilite dalla polizza assicurativa.
Il protesto illegittimo
Nell’attuale sistema creditizio e nella quotidianità dei traffici commerciali vengono utilizzati strumenti che, agevolando la celerità degli scambi commerciali, sono alternativi al denaro ma ad esso equiparati.
In determinati casi i titoli cambiari hanno funzione di pagamento (assegni bancari e assegni circolari), in altri, funzione creditizia (cambiale tratta e pagherò cambiario).[2]
Analizzando l’aspetto strutturale va considerata la promessa del sottoscrittore ovvero l’ordine che un soggetto impartisce ad un altro. Questo, ha ad oggetto il pagamento di una somma in denaro al portatore del titolo[3].
È evidente dal punto di vista bancario, ad esempio che alla scadenza della cambiale, si pretenderà che questa sia regolarmente pagata, in quanto non è interesse né dovere della banca entrare nel merito della questione della autenticità della firma. Infatti è obbligo dell’Istituto bancario solo il controllo della regolarità formale delle girate e la continuità delle stesse[4] allo scopo di identificare formalmente il possessore del titolo senza però entrare in profili sostanziali. Va ricordato, per inciso, che l’Istituto di credito può essere liberato anche nel caso in cui paghi al non titolare del titolo, purché non vi sia stato dolo o colpa grave.
Nel caso in cui il trattario o l’emittente non provvedono, entro il termine indicato nella cambiale o nell’assegno, a rifondere la somma indicata nel titolo di credito il creditore potrà agire facendo costatare la mancata accettazione o il mancato pagamento.
Il rimedio che l’ordinamento concede in tal senso è il protesto (ai sensi dell’art. 51 Legge Cambiaria[5] e art. 45, 2° co., n. 1, legge Assegno) che rappresenta l’atto unilaterale di natura pubblica (un atto autentico redatto da un pubblico ufficiale[6]) per mezzo del quale il soggetto creditore può agire al fine di ottenere quanto dovuto.
Il protesto così elevato avrà notevoli conseguenze per l’interessato che si troverà nella spiacevole situazione di impossibilità a richiedere o usufruire di servizi di credito bancario nonché privato della possibilità di aprire un conto corrente, di firmare assegni o cambiali, ecc.
È ovvio dunque che colui il quale si trovasse in questa situazione e soprattutto chi necessita di operare commercialmente a “360 gradi”, userà tutti i rimedi che l’ordinamento giuridico mette a disposizione al fine di ovviare a tutte le su citate conseguenze derivanti dalla relativa iscrizione nel Registro informatico dei protesti.
Sono abilitati alla levata del protesto il notaio, l’ufficiale giudiziario e i loro aiutanti o, in mancanza (anche temporanea), i segretari comunali.[7]
La finalità del protesto, che deve essere elevato previa presentazione del titolo, contro i soggetti designati nella cambiale o nell’assegno[8], è quella di garantire agli obbligati di regresso la puntualità della esibizione del titolo e il suo effettivo pagamento.
La granitica consonanza dottrinaria[9] sottesa alla ricostruzione dell’istituto in rassegna, ha osservato che il protesto può essere una fonte di danno indipendentemente dalla sua pubblicazione, in quanto il pregiudizio può derivare anche da una pubblicità di fatto della notizia, ad esempio nell’ambito dell’ambiente di lavoro. Il bollettino ufficiale dei protesti non rappresenta infatti l’unica fonte di informazioni in materia per le banche, sussistono banche dati che forniscono elementi relativi all’affidabilità dei soggetti[10].
Il regime di pubblicità in materia di protesti prevede la pubblicazione in un apposito “registro informatico dei protesti” tenuto a cura delle Camere di Commercio[11].
Si è pertanto a lungo dibattuto quali fossero i presupposti per la legittimità del protesto e che tipo di tutela può ottenere il soggetto danneggiato.
Vanno allora analizzati i casi in cui il protesto sia legittimo e quelli in cui sia illegittimo.
Vero è che il protesto si deve considerare legittimo solo quando vi è il rifiuto della banca di pagare, perché in presenza di una situazione effettiva di inesistenza di fondi; per cui in assenza di tale presupposto si avranno figure sintomatiche di illegittimità del protesto.
Infatti, in tema di protesto illegittimo, è stato ormai chiarito che il danneggiato determina un duplice danno, in quanto costituisce causa di discredito sia personale, che commerciale e, pertanto è idoneo a provocare danno patrimoniale.
Guardando più in la della naturale classificazione normativa di danno patrimoniale e non patrimoniale si consolida una nuova figura di danno che risulta svincolata dal parametro patrimonialistico in senso stretto e che va ad incidere sulla tutela della persona globalmente intesa.
Un altro punto di vista è fornito da chi[12] ravvisa l’incidenza negativa del protesto sull’immagine commerciale del debitore e “sulle sue facoltà di operare serenamente nel suo consueto ambiente”. Tale ipotesi sfocia nella configurazione di danno biologico.
Ed invero questa interpretazione è stata confermata dalla giurisprudenza di legittimità[13] secondo cui “nel caso in cui, invece, sia dedotta la lesione alla reputazione commerciale a causa dell’illegittimità del protesto, quest’ultima costituisce semplice indizio dell’esistenza del danno alla reputazione, da valutare nel contesto di tutti gli altri elementi della situazione in cui si inserisce”.
Tanto premesso, la fattispecie sottesa al caso in esame attiene al protesto erroneamente levato in quanto, dai dati della controversia, documentali, pacifici e non contestati, emerge che l’elevazione del protesto è frutto di errore in quanto il nominativo dell’attrice non coincide con il titolare del conto corrente bancario e peraltro ella non ha sottoscritto l’assegno protestato.
La responsabilità solidale della banca e del notaio
Come è stato acutamente osservato[14] in più occasioni le forme di trattamento improprio dei titoli di credito da parte della Banca (o Istituto di Credito) generano forme di responsabilità che nel caso di un soggetto (imprenditore o non) tale fatto illecito individua una forma di pregiudizio gravante sui rapporti di natura sociale ed economica.
Pertanto, l’elemento che deve essere obbligatoriamente dedotto e che, per l’appunto, è di particolare rilevanza, è la messa a conoscenza del protesto a terzi da cui scaturisce il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso[15].
Condivisa è dunque, sia pur con le precisazione che precedono, appare questa soluzione anche se parte della giurisprudenza[16] postula un ipotesi di risarcibilità generica del danno.
In limine occorre sottolineare infatti che la Corte di Cassazione[17] più volte si è espressa in relazione alla responsabilità della Banca per protesto illegittimo, affermando che è necessario che gli istituti di credito, prima di segnalare ai pubblici ufficiali i nominativi da protestare, abbiano dei comportamenti attivi al fine di evitare il proliferare di illegittimità o errori.
Orbene, nel momento in cui avviene la consumazione dell’illecito si configura la lesione del diritto alla reputazione e ciò vuol dire che nell’istante in cui si rileva il protesto e viene appresa l’insolvenza dal pubblico ufficiale che provvederà al protesto medesimo[18], la responsabilità della banca si realizza anche sotto il profilo più ampio della divulgazione di false informazioni[19].
Il protesto illegittimo e il conseguente inserimento del nominativo del debitore nel bollettino dei protesti costituiscono quindi fatto illecito ex art. 2043 c.c. e, la fondatezza del danno non può esser supposta dal giudice, ma deve essere stabilita in concreto[20].
Inoltre, è pacifico che la pubblicazione di un protesto illegittimo o erroneamente levato determini responsabilità del pubblico ufficiale o del richiedente quando sia possibile dimostrare il carattere negligente o doloso dei loro comportamenti, il che fa sorgere in capo a costoro l’obbligo di risarcire tutti i danni che il soggetto ha indebitamente sofferto.
Un altro aspetto che deve essere preso in considerazione riguarda la responsabilità di natura contrattuale in capo alla Banca. Dal punto di vista della responsabilità civile della Banca va sottolineata l’applicazione delle norme di diritto comune[21]: nel caso di specie la condotta dell’Istituto di credito è in chiara violazione degli art. 1176, co. 2 e 1228, c.c.
D’altro canto, la diligenza è norma generale di condotta e trova la sua applicazione non soltanto nei rapporti contrattuali ma anche in quelli di tipo extracontrattuale[22], in modo da non incorrere in contrasti fra l’art. 1176 e l’art. 1218 c.c.
Nel caso di specie la responsabilità è solidale tra la Banca che ha fornito al Notaio un’informazione erronea nell’indicare la ricorrente quale soggetto da protestare e lo stesso Notaio che ha omesso la verifica della corrispondenza tra lo specimen e la firma di traenza.
Va all’uopo sottolineato che la professione intellettuale, come propriamente definita nella letteratura giuridica, consiste in una attività di particolare pregio per il suo intrinseco carattere intellettuale che accentra nell’elemento qualificante, ovvero la prestazione dell’opera, il suo principale fondamento creativo[23].
Questo proprio per sottolineare l’apporto che viene offerto alla cultura del professionista dall’intelligenza e dalla creatività.
Un altro elemento secondario ma non per questo meno rilevante è rappresentato dall’autonomia dell’azione che, pur non intesa in senso assoluto, caratterizza il concetto di libera professione in quanto se è pur vero che il libero professionista è anche professionista intellettuale, non può essere vero il contrario perché quest’ultimo potrebbe anche prestare la propria opera inquadrato in un rapporto di lavoro subordinato.
Nella maggior parte delle situazioni professionali quindi, il libero professionista esercita la propria attività per mezzo di un contratto d’opera intellettuale[24] che trova la sua disciplina negli artt. 2229 e ss. c.c. e che è stato concluso con il cliente con il conferimento dell’incarico.
Da questo rapporto professionale, oltre agli obblighi derivanti dagli artt. 2224 e 2232 c.c., il professionista deve adempiere alle regole di correttezza, nonché dall’interpretazione del contratto secondo buona fede e in base alla sua integrazione secondo gli usi e l’equità[25].
Da quanto finora detto, si conclude che l’inadempimento del professionista non può essere dedotto dal mancato raggiungimento del risultato a cui il cliente mirava, ma deve essere stabilito in base ai doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale.
Sulla base di tale ricostruzione si osserva che occorre valutare il dovere di diligenza derivante dall’applicazione, in luogo del tradizionale criterio di diligenza del buon padre di famiglia, del parametro della diligenza professionale che è fissato dall’art. 1176, co. 2, c.c., che deve trovare la giusta misura nell’attività esercitata oggetto del mandato.
Perciò, nello svolgimento della sua attività, il professionista deve impiegare la diligenza definita “media” ovvero quella posta in base alla propria preparazione professionale e di attenzione media a meno che non gli sia richiesta, per portare a termine la sua attività, la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà.
In quest’ultimo caso la responsabilità del professionista si definisce, secondo il disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave.
Il Notaio, per quanto detto finora (la cui diligenza professionale va commisurata ai parametri di cui all’art. 1176, co. 2, c.c.), ha il dovere di esaminare attentamente il titolo consegnatogli per il protesto e di verificare, con la dovuta diligenza professionale, la causale, il codice da utilizzare ed il nominativo da inserire nell’elenco[26].
Posto che la prestazione del notaio nell’esercizio di un’attività professionale va considerata alla stregua di una obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto professionista, quest’ultimo si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato sperato ma non a conseguirlo.
Ciò significa che la colpa professionale (negligenza, imperizia o imprudenza) deve essere stimata in riferimento all’impegno che il professionista avrebbe messo nell’adempimento di quel particolare incarico e quello che è stato effettivamente utilizzato in realtà.
Risulta chiaro quindi che è il giudizio sulla diligenza che determina le conseguenze e quindi il giudizio sulla responsabilità del professionista. Questo per dire che ci si deve riferire, per valutare la diligenza impiegata, al tipo di attività che il professionista è chiamato a compiere, correlando il dettato normativo dell’art. 1176 c.c. con quello successivo all’art. 2236 c.c.
Ne deriva che la responsabilità del professionista che era già limitata, nelle prestazioni di particolare difficoltà di esecuzione, ai soli casi di dolo o colpa grave, viene altresì circoscritta anche nei casi rientranti nel criterio valutativo normale della diligenza adoperata, ponendo attenzione alla media capacità professionale in quanto al professionista non specializzato non può essere richiesta una capacità eccezionale.
La responsabilità del Notaio, quindi, presuppone che, a causa dell’attività svolta, si siano provocati dei danni imputabili al professionista. Solo ricorrendo questi presupposti, ovvero che il suo negligente comportamento abbia prodotto un pregiudizio definitivo ed attuale, il danneggiato deve fornire le prove per innalzare la questione della responsabilità professionale secondo i principi generali suddetti, cioè di colpa lieve e colpa grave, oltre che, naturalmente, di dolo[27].
Si è difatti rilevato[28] che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c.c.) che nel caso del notaio consiste nel prestare a tutti i contraenti una collaborazione tecnico-professionale, ponendo a disposizione degli stessi la sua preparazione e la sua esperienza e dirigendo personalmente la compilazione dell’atto, in modo da tradurre la volontà dei contraenti nello strumento negoziale tecnicamente idoneo affinché possano conseguire il risultato che si ripromettono. Egli, poiché la prestazione notarile, come di norma ogni altra prestazione professionale, è prestazione di mezzi e di comportamento, deve predisporre gli strumenti giuridici e materiali di cui dispone in vista del conseguimento di quel risultato, con la diligenza media di un professionista adeguatamente preparato ed avveduto, salvo che l’atto da stipulare non implichi risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso risponde solo per dolo o colpa grave. E tutto ciò mentre fa sì che l’opera del notaio non possa ridursi a quella di un passivo registratore delle dichiarazioni altrui, presuppone d’altra parte un’attività preparatoria, della cui efficienza deve giudicarsi normalmente sulla base dello stesso criterio di diligenza media”[29].
Perciò ritornando al caso in esame, qualora la firma apposta per traenza su un assegno bancario non corrisponda allo specimen, ma rechi un nome ed un cognome di fantasia, pur se si prestino a diverse letture, ma comunque non riconducibili, per estensione e composizione letterale, in alcun modo al titolare del conto corrente, tale firma non va definita illeggibile, ma configura la fattispecie prevista dalla causale 37 della circolare del Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato del 30 aprile 2001, n. 3512/c. Consegue che il protesto non va elevato a carico del titolare del conto, ma del soggetto firmatario, anche se rimasto non identificato[30].
A ciò va aggiunto che sotto il profilo aquiliano, va inteso sia l’erroneo inserimento di una tratta nell’elenco dei protesti da rendere pubblici[31], sia le conseguenze dell’omesso accertamento circa l’identità del presentatore di un titolo di credito[32]. D’altro canto, la responsabilità non sussiste quando il protesto erroneo sia stato elevato in base ai dati forniti dalla banca[33], o quando la formulazione del titolo era tale da far confondere il trattario non accettante con l’emittente o, ancora, quando non sia stata raggiunta la prova intorno al danno concretamente derivante dal protesto.
A mente delle citate considerazione il Tribunale di Napoli nella sentenza in commento ha negato l’applicazione dell’art. 2236 c.c. relativo alla responsabilità del prestatore d’opera in quanto quest’ultimo sarebbe applicabile unicamente in caso di soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
È bene precisare che la relazione tra gli articoli 1176 e 2236 c.c. è di integrazione per complementarità e non già per specialità, cosicché vale come regola generale quella della diligenza del buon professionista (art. 1176, 2° co., c.c.) con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la norma ex art. 2236 c.c., delimitando così la responsabilità del professionista al dolo o alla colpa grave.
Ed in effetti a tale riguardo la sentenza in rassegna ha osservato che il controllo e la verifica di conformità e corrispondenza della firma di traenza del correntista rientrano nei doveri di normale attenzione e diligenza del Notaio non comportando un problema tecnico di speciale difficoltà.
Il dato che emerge è pertanto che si deve applicare il secondo comma dell’art. 1176 c.c. in base al quale il professionista risponde anche per colpa lieve.
Nel caso in esame, infatti, è palese l’errore commesso “ictu oculi” in quanto vi è diversità di sesso tra il titolare del conto corrente, il firmatario dell’assegno e il soggetto contro il quale viene elevato il protesto.
Chiarito questo, a tal punto rimane da chiarire a quali conseguenze si esponga il professionista o l’Istituto di credito che non si conformi alla regola di cui all’art. 1176 co. 2 c.c.
Il danno risarcibile
Dal protesto è indubitabile che derivino dei pregiudizi in capo al protestato, in quanto incide negativamente sul diritto all’immagine, sull’onore e sulla reputazione della persona interessata e, se elevato illegittimamente, si ripercuote anche sulla stessa persona fisica o giuridica.
Il problema della risarcibilità del danno quale conseguenza di un protesto illegittimo non è nuovo, sulla sua natura e tipologia vi sono stati molteplici contributi dottrinali e giurisprudenziali.
Occorre insomma, detto in sintesi, pur partendo dall’idea prospettata, allargare ed approfondire l’analisi scendendo più in dettaglio il panorama degli orientamenti che si sono susseguiti nel tempo. La giurisprudenza è da tempo concorde nel ritenere che il danneggiato patisca un duplice danno: il discredito personale e il discredito commerciale, distinguendo così il danno patito dal soggetto fisico in quanto tale, individuato come “danno alla reputazione personale” e il danno per discredito nell’ambiente economico, c.d. “danno alla reputazione commerciale”[34].
Nel primo caso, secondo l’impianto normativo odierno, rientrano espressamente le tipologie di danno di carattere patrimoniale che trovano fondamento nell’art. 2043 c.c. ma anche quelli non patrimoniali la cui grundonorm si rinviene nel disposto dell’art. 2059 c.c.; nel secondo caso rientrano quelli di natura squisitamente patrimoniale.
Occorre precisare, tuttavia che il discrimen fra le due fonti soggettive di danno si ravvisa nel differente onus probandi. In seno al primo, la parte danneggiata si trova in una posizione di favore, in quanto il danno andrà risarcito senza che incomba sul medesimo l’onere di provare il danno sofferto, ma sarà il giudice che ai sensi dell’art. 1226 c.c. valuterà equitativamente l’ammontare.
A tal proposito, l’odierno assetto del sistema risarcitorio è incardinato sulla ripartizione in due classi delle voci di danno: danno patrimoniale, il cui alveo codicistico è l’art. 2043 c.c. [35], e il danno non patrimoniale il cui punto di riferimento normativo è l’art. 2059 c.c.
Il danno non patrimoniale, come definito dalla Cassazione[36], conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p.
Lo stesso Collegio sottolineava, inoltre, che il danno non patrimoniale “non presuppone la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale”.
Di converso “il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale”.
Il danno in questo caso deve ritenersi in re ipsa e perciò non necessita la prova della sua esistenza[37].
Per questi motivi andranno risarciti tutti i danni non patrimoniali eziologicamente correlati al protesto illegittimo, quali per esempio le lesioni del diritto all’onore, alla reputazione, all’immagine sociale e, qualora sia derivato dal fatto illecito, quello alla salute.
Al contrario, nel caso in cui la posizione soggettiva patrimoniale del danneggiato appaia rilevante (rectius c.d. danno da lesione alla reputazione commerciale) il soggetto ha diritto al risarcimento da parte della banca, dei danni non patrimoniali cagionati dalla lesione alla sua reputazione professionale, a prescindere dall’accertamento del reato[38].
Secondo quest’ultima ipotesi considerata è fondamentale produrre e analizzare le singole circostanze per mezzo delle quali sia possibile rilevare una compromissione nell’attività commerciale del credito goduto dal soggetto che ha subito il protesto illegittimo (per es. interruzione di forniture, di trattative commerciali, qualsiasi pregiudizio al proprio patrocinio rilevabile oggettivamente)[39].
In sostanza, stabilito che il protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso facto all’insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza soltanto in un’ottica commerciale/imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda – di indubitabile discredito – tanto personale quanto patrimoniale, si deve ritenere che, ove illegittimamente sollevato, ed ove privo di una conseguente, efficace rettifica, esso deve ritenersi del tutto idoneo a provocare un danno patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell’onore e della reputazione al protestato come persona, al di là e a prescindere dai suoi interessi commerciali.[40]La differenza tra le due tipologie di danno si ravvisa, inoltre nel differente onus probandi.
L’affermazione che appare quanto mai diretta ed esplicita è che nel caso di danno da discredito personale l’onere della prova non incombe sulla parte danneggiata, in quanto andrà risarcito mediante valutazione equitativa del giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Da quanto appena detto consegue che non è necessario che il danneggiato fornisca prova, perché il danno alla persona incidente sul diritto costituzionale all’onore e alla reputazione[41] è un danno evento, risarcibile ex se, in quanto danno ingiusto insito nella lesione stessa.
La giurisprudenza[42] successiva ha applicato questo orientamento anche nel caso di danno da illegittimo protesto configurandolo come danno alla reputazione dell’imprenditore e della persona fisica fondandolo sul rispetto della dignità sociale e professionale in base alla lettura composita degli artt. 2, 3, 41 Cost. per ciò che concerne la libertà di produzione secondo l’obbligo di rispetto della propria immagine ed attività professionale.
Pertanto, la Cassazione[43], nell’alveo normativo del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., ha affermato che “può ritenersi applicabile la giurisprudenza evolutiva di questa Corte in tema di lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., includendo nella categoria dei danni non patrimoniali anche i danni che derivano dalla violazione e lesione di posizioni soggettive protette, di rango costituzionale o ordinario, sulla base di precisi riferimenti normativi”.
Conclusioni
È pacifico che il danno da illegittimo protesto incidente su beni della persona sia ricondotto nell’alveo dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. per lesione dei valori costituzionalmente tutelati.
A fronte di tale rilievo la recentissima sentenza della Corte di Cassazione[44] sottolinea chiaramente che “allorché emerga l’illegittimità del protesto, spetta il risarcimento del danno conseguente alla lesione della propria reputazione personale, e la prova della lesione, contestuale alla prova della illegittimità del protesto, costituisce danno ingiusto “in re ipsa” .
Proseguendo sulla falsariga del metodo seguito la Corte ha valutato l’ingiustizia del danno provocato alla persona che si è vista inclusa ingiustamente nel registro dei cittadini insolventi con la conseguente ingiusta lesione, socialmente discriminante, della propria immagine. Pertanto a causa della perdita di immagine professionale o sociale, che di per sé costituisce danno reale, il danneggiato deve essere risarcito in modo satisfattivo, ed equitativo sia a titolo contrattuale per inadempimento, che a titolo extracontrattuale in base alla clausola generale del neminem laedere.
In tal senso appare condivisibile quanto disposto dalla pronuncia in commento per quanto concerne il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali connessi alla illegittima levata di protesto e quindi, oltre alla lesione del diritto all’onore, alla reputazione, all’immagine sociale, nonché al danno alla salute, qualora sia derivato dal fatto illecito.
Infatti, qualora venga in rilievo la posizione soggettiva patrimoniale del danneggiato nei termini del c.d. danno da lesione alla reputazione commerciale la Suprema Corte[45] ha stabilito che l’imprenditore ha diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali da parte della banca, se conseguenti alla lesione della sua reputazione professionale, a prescindere dall’accertamento del fatto reato.
Certo diventa indispensabile, in tale ipotesi, allegare e provare le specifiche circostanze dalle quali sia possibile desumere una compromissione, nell’ambiente commerciale, del credito goduto dal soggetto illegittimamente protestato, come, ad esempio, l’interruzione di forniture o trattative commerciali[46].
Ragionando in questi termini, fermo restando quanto detto si richiama al fine conclusivo e propositivo la legge sull’usura[47] laddove prevede la possibilità da parte del soggetto che abbia subito un protesto, seppur legittimo, di ottenere la “riabilitazione” nonché l’annullamento del protesto, che viene considerato come mai avvenuto, qualora abbia corrisposto l’intero importo dovuto.
Questa previsione è prova del fatto che il protesto costituisce fonte immediata di danno alla reputazione personale, infatti, scopo della stessa norma è la riabilitazione come persona di chi ha subito, seppur legittimamente, il protesto.
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[1] Tribunale di Napoli – sezione distaccata di Marano, sentenza 6 aprile 2007.
[2] Per una disamina dei titoli di credito cambiari e della loro classificazione si veda G.F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, 3 ed.,Torino, 2004, 492 ss. Ex plurimis F. Martorano, I titoli di credito. I titoli cambiari, in Manuale di diritto commerciale a cura di V. Buonocore, Torino, 2002, 1079 ss.; F. Galgano, Il diritto commerciale, Milano, 2007.
[3] Si veda F. Martorano, op. cit., p. 1080.
[4] Art. 46 R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669
[5] Art. 51, R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669: il rifiuto dell’accettazione o del pagamento deve essere constatato con atto autentico (protesto per mancata accettazione o per mancato pagamento). Il protesto per mancata accettazione deve essere levato nei termini fissati per la presentazione all’accettazione. se la prima presentazione, nel caso previsto dall’art. 29 comma 1/a, è stata fatta nell’ultimo giorno del termine, il protesto può essere levato anche il giorno successivo. Il protesto per mancato pagamento di una cambiale pagabile a giorno fisso o a certo tempo data o vista deve essere levato in uno dei due giorni feriali seguenti al giorno in cui la cambiale è pagabile. se la cambiale è a vista, il protesto deve essere levato secondo le norme del precedente comma relativo al protesto per mancata accettazione. Il protesto per mancata accettazione dispensa dalla presentazione al pagamento e dal protesto per mancato pagamento. In caso di cessazione di pagamenti del trattario, abbia o non abbia accettato, o in caso di esecuzione infruttuosa sui suoi beni, il portatore non può esercitare il regresso che dopo aver presentato la cambiale al trattario per il pagamento e dopo aver levato protesto. In caso di fallimento del trattario, abbia o non abbia accettato, e nel caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile la produzione della sentenza dichiarativa del fallimento basta al portatore per esercitare il regresso.
[6] Si veda F. Martorano, op. cit., p. 1086
[7] Artt. 68 l. camb. e 1 legge 12-6-1973, n. 349.
[8] Art. 70 l. camb.
[9] Per questi motivi parte della dottrina è scettica sull’efficacia delle rettifiche. Trib. Milano 28 settembre 1989, in Banca, borsa, 1991, II, 495, con nota di V. Zeno Zencovich, Considerazioni sul danno da protesto illegittimo; G. Antonucci, Note in tema di pubblicazione di protesti cambiari, in Banca borsa, 1980, I, 495; G. Sicchiero, Il protesto di assegno bancario e la sua pubblicazione fra norma e prassi, in Giur. it., 1990, I, 2; G. Fedeli, Protesto, pubblicazione e rimedi. La tutela cautelare, Padova, 2005, 199; A.Venturelli, Pubblicazione di protesti erronei e legittimazione processuale della Camera di Commercio, in La responsabilità civile, V, Torino, 2006, p. 421 ss.
[10] La pubblicazione di rettifica contestuale a quella del protesto erroneo varrebbe ad escludere la configurabilità del danno, o, in ogni caso, ad attenuare il pregiudizio e, conseguentemente, l’entità del risarcimento spettante al soggetto illegittimamente protestato. La presente posizione non può essere pienamente condivisa, in quanto il discredito che si può creare nell’ambiente di lavoro o nell’ambiente familiare, rappresenta la fonte della responsabilità extracontrattuale della banca.
[11] Legge 12-2-1955, n. 77, più volte modificata e art. 3-bis legge n. 480/1995.
Si noti che vanno pubblicati sul Registro Informatico dei Protesti solo quelli per mancato pagamento e non quelli per mancata accettazione.
[12] V. Zeno-Zencovich, op. cit. p. 420.
[13] Cassazione civile, sez. I, 23 marzo 1996, n. 2576 in Giust. civ. Mass. 1996, p. 420 e in Danno e resp. 1996, p. 320.
[14] In caso di illegittimo protesto si configura una vera e propria ipotesi di danno biologico, perché il protesto provoca un danno all’immagine, alla reputazione e all’onore della vittima. La stessa giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento del danno alla salute, in quanto l’attore lamentava l’insorgenza di un esaurimento organico e nervoso, con conseguente perdita della clientela, causato dall’illegittimità del protesto. In tal senso Cass. 23 marzo 1996, n. 2576, in Banca borsa, 1997, II, 382. Parte della dottrina invero ritiene che la sentenza della Cassazione richiamata, rappresenta un leading case nel suo genere, considerato che amplia l’ambito applicativo della responsabilità civile della banca. Sul punto F. Martorano, Le mobili frontiere del danno alla salute: lo shock da protesto illegittimo, in Banca borsa, 1997, II, 390; V. Carbone, Il protesto, la riabilitazione, il risarcimento, in Danno e responsabilità, 1996, 320.
[15] Cfr. G. Alpa, Diritto della responsabilità civile, Bari, 2005, 115; G. Fedeli, op. cit., 205; C. Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1998; M. Franzoni, Fatti illeciti, in Commentario del codice civile, a cura di Scjaloia e Branca, a cura di Galgano, Bologna, 2004, p. 75.
[16] Trib. Roma 25 luglio 1964; Cass. 2 luglio 1977, n. 2878. Alcuni autori osservano che la risarcibilità dei danni non patrimoniali riguardi anche le ipotesi di danni relativi a beni attinenti la persona ed a cui viene attribuito un valore patrimoniale. Si riconosce pertanto l’astratta risarcibilità di danni concernenti la personalità quali: la dignità, onore e decoro, che si ripercuotono sulla sfera patrimoniale del soggetto. In caso di protesto illegittimo è necessario fornire la prova che i terzi, con i quali si intrattenevano rapporti commerciali, hanno modificato, in peggio, la propria considerazione sulle qualità personali del soggetto che ha subito il protesto Cfr. G. Campobasso, La cambiale, II, Milano, 1998, 873.
[17] Cass. civ. 30 agosto 2007 n. 18316 in Guida al Diritto, 2007, 40, pg. 88, annotata da M. Piselli e Cass. 16 aprile 2003 n. 6006 in Guida al Diritto, 2003, 27, p. 87.
[18] Cass. 23 marzo 1996, n. 2576, in Banca borsa, 1997, II, 382; A. Tencati, Il pagamento attraverso assegni e carte di credito, Padova, 2006, 627; G. Pettarin, E. Benedetti, E. Piscopo, Le responsabilità civili dell’attività bancaria, Trento, 2002, 106.
[19] G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p. 225; A. Luminoso, Responsabilità civile della banca per false o inesatte informazioni, in Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle banche (Atti del Convegno tenuto di 8-10 novembre 1984), Milano, 1986, 242; G. Alpa, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, IV, Milano, 1999. Per l’Autore l’assunzione di informazioni di natura commerciale ed in particolare le informazioni bancarie, così come il loro scambio, costituisce, come e ben noto a tutti, un uso consolidato nella tradizione della moderna vita economica, nella quale il possesso di notizie precise, corrette e tempestive rappresentano una condizione essenziale per poter operare con successo sul mercato.
[20] Trib. Busto Arsizio 9 gennaio 1987, in Banca borsa, 1989, II, 102.
[21] G. Pellizzi, Saggi di diritto commerciale, Milano, 1988, 661.
[22] La dottrina tradizionale afferma che nei rapporti di tipo contrattuale il riferimento al criterio della diligenza è possibile solo ove sussista una libertà di determinazione, ossia una scelta tra diversi possibili atteggiamenti. Può accadere che, in determinati rapporti contrattuali, il comportamento del debitore sia stabilito in termini rigidi, di modo che ogni inosservanza comporti una condotta inadempiente; invece, in altre ipotesi, il comportamento da mantenere, tra i diversi da praticare, è rimesso esclusivamente alla determinazione del debitore. Per la banca vi è la possibilità di scegliere la condotta da assumere, quindi, vi è la necessità di valutare ex post un comportamento che non era stato in precedenza contrattualmente fissato. Mancando una previsione di tipo contrattuale, sembra una scelta logica far riferimento alla responsabilità media richiesta al professionista, che la legge pone come obbligo nello svolgimento di qualsiasi attività.
[23] C. Cattaneo, La responsabilità del professionista, Milano, 1958; G. Facci, La responsabilità civile del professionista, Padova 2006; F., Martini La responsabilità civile del professionista, Torino 2007;
[24] M. Zana, Responsabilità del professionista, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991 e ss.. Baldassarri (S. BALDASSARRI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1993, 7 e segg.)
[25] Vedi C. Assanti, Le professioni intellettuali e contratto d’opera, in Tratt. dir. priv., P. Rescigno, XV, Torino, 1986, 1493
[26] Tribunale di Nola, sez. II, sentenza n. 673, emessa il 06.04.2006. L’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, deve essere valutato, non in relazione al mancato raggiungimento del risultato, ma alla stregua dei doveri inerenti l’attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizione dovere di diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, 2°co., c.c.
[27] Trib. Firenze 24 febbraio 1966, in Riv. Not 1967, 459; Trib. Pavia 20 aprile 1984, in Riv. Civ. Proc. , 1991, 516; Cass. 18 maggio 1993, n. 5630, Riv. Not, 1994, 467; Cass. 3 gennaio 1994, n. 6, Riv. Not, 1995, 311; Cass. 19 gennaio 2000, n. 566, Vita Not., 2000, 503; Cass. 28 agosto 2000, n. 11207 in Guida al Diritto, 2000, n. 37, 22; Cass. 16 gennaio 2002, n. 398, Riv. Not., 2002, 993
[28] Cass. 16 febbraio 1974, n. 450, in Giur. C,iv. 1974, I, 1613-1614.
[29] Cass. 23 ottobre 2002, n. 14934, Riv. Not., 2003.
[30] R.D. 1736/1933 art.62; d.l. 18/9/95 n. 381 conv. in legge 15/11/95 n.480; circolare Ministero Industria Commercio Artigianato del 30/4/2001 n. 3512/c – causale 37
[31]Trib. Perugia 3 luglio 1981, Giur. Mer., 1983, 661
[32] Trib. Roma, 18 febbraio 1982 in Foro It, 1983, I, 1114
[33] Trib. Bari 10 luglio 1980, in Foro Pad., 1980, I, 256
[34] Il protesto cambiario, conferendo pubblicità all’insolvenza del debitore, costituisce causa di discredito sia personale, che commerciale e, pertanto, se illegittimo, è idoneo a provocare danno patrimoniale. Cfr. D. Manzo, Quanti danni discendono da un protesto illegittimo: innumerevoli! (Nota a Cass. sez. I civ. 28 giugno 2006, n. 14977) in Giur. It., 2007, fasc. 1, pagg. 125-127.
[35] G. Liace, Responsabilità della banca per erronea levata del protesto, in Giur. Merito 2004, 5, 893.
[36] Cassazione civile, III sez., del 31 Maggio 2003, n. 8828, in Giur. it. 2004, p. 29.
[37]C. Scognamiglio, Protesto illegittimo e danno in re ipsa (Nota a Cass. sez. I civ. 20 giugno 2006, n. 14977) in Responsabilità civile e previdenza, 2007, fasc. 3, p. 548-553.
[38] Cass. civ., 30 marzo 2005 n. 6732 in Resp. civ. e prev. 2005, 709, nella quale i Supremi giudici rilevarono felicemente che la dignità sociale rappresenta un bene costituzionalmente tutelato
[39] Si veda Corte d’Appello di Genova, sez. III, 30 giugno 2005 n. 669 in Riv. giur. Molise e Sannio 2005, 3 144.
[40] Cass. 5 novembre 1998, n. 11103 in Banca borsa tit. cred. 2000, II, 35;
Cass. 28 giugno 2006, n. 14977 in Dir. e giust. 2006, 1 16.
[41] È consuetudine individuare l’onore nel diritto di una persona a non vedersi attribuire fatti non veri e infamanti. Sebbene fosse tradizionalmente tutelato solo in sede penale, gode oggi di protezione anche civile quale danno morale soggettivo puro, mediante rimando ai “casi espressamente previsti” ex art. 2059 cod. civ. e all’ausilio dell’art. 185, 2° comma, c.p. e cioè solo nell’ipotesi di diffamazione dolosa per lesione alla reputazione morale dell’individuo.
[42] cfr. Cass. sentt. 31 maggio 2003 n. 8827 in Nuova giur. civ. commentata 2004, I. 5, 232 e 8828 in Giur. it. 2004, 29; Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233 in Giur. it. 2004, 723.
[43] Cass., 30 marzo 2005 n. 6732 in Dir. relaz. ind. 2005, 817.
[44] Cass., 18 aprile 2007, n. 9233 in Il Sole 24 Ore, Mass. Repertorio Lex24.
[45] Cass. Civ., sez.III, sent. N. 6732/2005. In detta sentenza si rileva che la dignità sociale assurge a bene costituzionalmente tutelato.
[46] V. Corte d’Appello di Genova, sez. III, 30 giugno 2005 n. 669 in Riv. giur. Molise e Sannio 2005, 3 144.
[47] Art. 17 e 18 legge n. 108 del 7 marzo 1996.