Medico Competente e i controlli sanitari
Definizione
Per svariato tempo in Italia non era presente una definizione precisa e univoca del concetto di “medico competente”.
Tra gli obblighi in capo al datore di lavoro ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008, nei quali si scompone il dovere di sicurezza ”efficacemente delineato dall’art. 2087 c.c.”, v’è la nomina del medico competente, incaricato di effettuare la sorveglianza sanitaria nei casi espressamente previsti dalla legge stessa.
Era dunque necessario inquadrarlo nella giusta posizione giuridica in merito al ruolo, ai requisiti e alle responsabilità.
La prima normativa in tema di medico del lavoro nella nostra legislazione si ritrova a partire dal D.P.R. 303/1956 che all’art. 33 si limitava a richiamare la necessità del possesso di cognizioni specifiche del medico competente ma non a fissare i contorni di una figura predefinita.
L’individuazione delle funzioni di prevenzione primaria (sull’ambiente) e secondaria (sui lavoratori) nonché gli obblighi di sorveglianza comune inerenti l’opera del medico erano pressoché determinati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
L’art. 33 del D.P.R. 303/1956 prescriveva altresì che dovevano essere visitati da un medico competente i lavoratori adibiti a lavorazioni industriali esposti all’azione di sostanze tossiche o infettanti o che comunque risultassero nocive.
Una normativa più esaustiva in tema di organizzazione del controllo sanitario sui lavoratori si è determinata solo con l’emanazione del D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277 che attuando diverse direttive in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, ha definito la figura del medico competente, per la tutela dei rischi predetti ed il contenuto della sorveglianza sanitaria.
NOTA: Negli anni 80 nel corso di una riunione della Comunità Economica Europea, la sorveglianza sanitaria è stata definita come la valutazione periodica medico – fisiologica dei lavoratori esposti con l’obiettivo di proteggere la salute e prevenire la salute e le malattie correlate al lavoro.
Viene pertanto istituzionalizzato il controllo sullo stato di salute dei lavoratori esposti al rumore, al piombo e all’amianto attraverso controlli preventivi e periodici, rapporti informativi con i lavoratori, verifiche periodiche degli ambienti di lavoro e gestione programmata del controllo dell’esposizione dei lavoratori.
Tuttavia il D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, precisava che i compiti del medico competente erano espressamente limitati al controllo sui lavoratori esposti agli agenti nocivi oggetto della disciplina del decreto.
Da tale precisazione discendeva la conseguenza che la figura del medico competente così descritta non poteva automaticamente attagliarsi agli altri casi in cui le norme in tema di sicurezza del lavoro prevedevano l’espletamento di controlli sanitari sui lavoratori e sugli ambienti di lavoro.
La previsione generale del recentissimo Testo Unico estende invece definitivamente l’intervento preventivo ad ogni tipo di attività lavorativa chiarendo che il campo di applicazione è quello di tutti i settori di “attività privata e pubblica”.
NOTA: Per rischio deve intendersi non la generica presenza di un agente lesivo, ma la concreta possibilità che un agente o una situazione lavorativa, possano essere causa nella specifica situazione di un danno alla salute del lavoratore. Infatti l’attuale normativa, impone la conoscenza, l’eliminazione, la riduzione, la sorveglianza di tutti i rischi perché essi non sono più definiti secondo un qualsiasi elenco ma semmai in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico.
Requisiti
Il medico competente si configura dunque come un consulente specialista su tutti i problemi relativi alla tutela della salute negli ambienti di lavoro.
Il Testo Unico si può affermare, ha disegnato un quadro unitario, estensibile a tutti i casi di controllo sanitario sui lavoratori o sugli ambienti di lavoro previsti dalla normativa in materia.
Dalla valutazione dei rischi deriva poi l’obbligatorietà sia dei protocolli sanitari, sia del conseguente giudizio di idoneità.
L’elenco dei medici competenti è generalmente reperibile presso l’ordine dei medici, l’organo di vigilanza dell’ASL e le associazioni dei datori di lavoro.
NOTA: La professionalità richiesta la medico competente deve in particolare garantire ai clienti prestazioni con caratteristiche di qualità e quindi deve basarsi su:
– specifiche conoscenze ed esperienze professionali dei danni e dei rischi correlati nei luoghi di lavoro;
– adeguate conoscenze dei protocolli sanitari da attuare e dei sistemi diagnostici predittivi di alterazioni precoci per esposizione a tossici industriali;
– capacità informativa e formativa;
– adeguate conoscenze in campo di psicologia del lavoro, organizzazione del lavoro, fatica mentale ed ergonomia;
– adeguate conoscenze delle norme di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Il D.Lgs. 626/94 così come modificato dal D.Lgs. 242/1996 precisava chi poteva essere nominato medico competente.
Tuttavia non è mancato chi riteneva non del tutto completa la normativa prevista dal D.Lgs. 626/94. Infatti se è vero che quest’ultima normativa aveva definito una regolamentazione organica della sorveglianza sanitaria e i relativi compiti del medico competente tuttavia è indubbio che tale medico doveva essere nominato solo nelle aziende che eseguivano lavorazioni a rischio per le quali era dalle norme prevista la sorveglianza sanitaria obbligatoria.
Titoli e requisiti del medico competente
La presenza del medico competente pertanto nell’azienda e, la sua partecipazione alla valutazione dei rischi, era obbligatoria a termini di legge solo nei casi in cui sussisteva l’obbligo della sorveglianza sanitaria. Ai sensi del D.Lgs. 81/2008 sono stati previsti pertanto requisiti più rigorosi. Ed invero l’art. 38 dispone: “1. Per svolgere le funzioni di medico competente è necessario possedere uno dei seguenti titoli o requisiti:
a) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica;
b) docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro;
c) autorizzazione di cui all’art. 55 del D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277;
d) specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale.
I medici in possesso dei titoli di cui al co. 1, lett. d), sono tenuti a frequentare appositi percorsi formativi universitari da definire con apposito decreto del Ministero dell’università e della ricerca di concerto con il Ministero della salute. I soggetti di cui al precedente periodo i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, svolgano le attività di medico competente o dimostrino di avere
svolto tali attività per almeno un anno nell’arco dei tre anni anteriori all’entrata in vigore del presente D.Lgs., sono abilitati a svolgere le medesime funzioni.
A tal fine sono tenuti a produrre alla Regione attestazione del datore di lavoro comprovante l’espletamento di tale attività.
Per lo svolgimento delle funzioni di medico competente è altresì necessario partecipare al programma di educazione continua in medicina ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, e successive modificazioni e integrazioni, a partire dal programma triennale successivo all’entrata in vigore del presente D.Lgs.. I crediti previsti dal programma triennale dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70 per cento del totale nella disciplina “medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro”.
I medici in possesso dei titoli e dei requisiti di cui al presente art. sono iscritti nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute”.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione dell’art. 39, co. 3, del D.Lgs. n. 81/2008, il quale dispone che: “Il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente”.
In particolare ci chiediamo “se tale disposizione è da intendersi rivolta a tutte le strutture del Dipartimento di prevenzione delle aziende sanitarie locali o solo a quelle che svolgono attività ispettiva e se sia applicabile a tutto il personale con qualifica ispettiva afferente all’azienda sanitaria”.
Al riguardo occorre premettere che il citato art. 39, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008 si pone in continuità rispetto all’abrogato art. 17, co. 7, D.Lgs. n. 626/1994 secondo cui: “Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l’attività di medico competente qualora esplichi attività di vigilanza”. Inoltre, l’art. 7 del D.Lgs. n. 229 del 19 giugno 1999 – che ha introdotto l’art. 7-bis nel D.Lgs. n. 502 del 30 dicembre 1992 – ha definito il Dipartimento di prevenzione come “una struttura operativa dell’unità sanitaria locale che garantisce la tutela della salute collettiva, perseguendo obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità e il miglioramento della qualità della vita”. A tal fine “il dipartimento di prevenzione promuove azioni volte a individuare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale, umana e animale, mediante iniziative coordinate con i distretti, con i dipartimenti dell’azienda sanitaria locale e delle aziende ospedaliere, prevedendo il coinvolgimento di operatori di diverse discipline”. Nell’intento del legislatore, dunque, il Dipartimento di prevenzione rappresenta un’unica struttura deputata allo svolgimento di attività polifunzionali, volte a garantire un continuo innalzamento del livello di salute e di miglioramento della qualità della vita. In tale contesto il Dipartimento non esercita solo un’attività di vigilanza, intesa come “mero controllo” di tipo repressivo e sanzionatorio, ma anche funzioni di tipo preventivo e autorizzativo. L’attività del Dipartimento si concretizza, altresì, nella ricerca attiva di soluzioni condivise con tutti gli attori che sono chiamati a concorrere alla prevenzione e gestione dei rischi.
Emerge dunque una pluralità di funzioni attribuite al Dipartimento, che oltre alla funzione di vigilanza e controllo, è chiamato a garantire l’attuazione di interventi complessi nell’ambito dell’assistenza collettiva, quali la sorveglianza epidemiologica, l’informazione all’utenza, l’assistenza alle imprese, la formazione degli operatori, l’educazione sanitaria della popolazione, l’informazione e la comunicazione del rischio per la salute.
Sulla base di tali elementi si ritiene che, in considerazione della natura polifunzionale del Dipartimento di prevenzione, il disposto dall’art. 39, co. 3, del D.Lgs. n. 81/2008, debba ritenersi applicabile a tutte le strutture che compongono il citato Dipartimento ed a tutto il personale ad esso assegnato, indipendentemente dalla qualifica rivestita.
Il Testo Unico in commento ha dunque fissato, colmando quelle lacune presenti nel sistema, le competenze e i titoli al fine di individuare la figura del medico competente.
Ciò al fine di individuare chi possa definirsi un medico di qualificata professionalità capace di diventare l’interlocutore ovvero il collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione aziendale.
Oggetto della delega di cui all’art. 1, co. 2, lett. t), della L. n. 123/2007, l’attività di sorveglianza sanitaria è stata in parte rivista ed arricchita rispetto alla previgente disciplina dettata dal D.Lgs. n. 626/1994. Nonostante gli elementi di novità e le modifiche più di recente introdotte, occorre però precisare come permangano alcuni profili di criticità che si evincono in particolare alla luce di un breve confronto comparatistico.
Con riferimento ai compiti del medico competente che può essere sia un libero professionista che un dipendente essi sono previsti dall’art. 39 del D.Lgs. 81/2008, e sono finalizzati alla prevenzione e protezione dei lavoratori esposti allo specifico rischio lavorativo pertanto non sono estensibili ad altri settori. Se pure il medico competente è scelto e pagato dal datore di lavoro, perché deve coadiuvare quest’ultimo nell’esercizio dei suoi obblighi prevenzionali, nondimeno egli deve svolgere il suo servizio professionale solo nell’interesse della salute e della sicurezza dei lavoratori, tanto che incorre in sanzioni penali in caso di inosservanza degli obblighi normativamente configurati a suo carico.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione del co. 4 dell’art. 39 del D.Lgs. n. 81/2008 secondo cui “il datore di lavoro assicura al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti garantendone l’autonomia”.
Si fa presente che in alcune situazioni organizzative di Aziende Sanitarie Locali, ma anche presso alcune grandi aziende private, il medico competente risulta funzionalmente collocato in Unità Operativa Complessa (UOC) di cui il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è il direttore, chiede di sapere se “si può ritenere rispettata la succitata norma quando il datore di lavoro subordina gerarchicamente, funzionalmente e organizzativamente il medico competente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione”.
Al riguardo si osserva che sebbene l’art. 17 del D.Lgs. n. 81/2008 preveda la non delegabilità della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e non anche della nomina del medico competente, ciò non può far presumere una preminenza di una figura rispetto all’altra. Tali figure, infatti, sono funzionalmente autonome, con attribuzioni di specifiche aree di responsabilità nettamente distinte, anche se complementari tra loro.
Va preliminarmente evidenziato come in tale logica il D.Lgs. n. 81/2008 delinea in modo chiaro i compiti del servizio di prevenzione e protezione e gli obblighi del medico competente, lasciando al datore di lavoro ogni scelta organizzativa, a condizione che sia garantita l’autonomia delle rispettive funzioni senza limitazioni o condizionamenti.
Ne consegue che, nel caso in cui organizzativamente vi sia coincidenza tra ruolo di direttore di UOC o di analoga struttura con lo svolgimento da parte dello stesso direttore anche delle funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, la subordinazione gerarchica di un medico incardinato nella stessa UOC o struttura, incaricato di svolgere le funzioni di medico competente, può riguardare i soli aspetti che esulano da tale incarico, stante la condizione di piena autonomia organizzativa e funzionale che deve essere garantita dal datore di lavoro al medico competente per lo svolgimento delle proprie funzioni.
Attività in ambito civile
Il D.Lgs., 3 agosto 2009 n. 106, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 180 del 5 agosto 2009 recante: “Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs., 9 aprile 2008, n. 81 in materia della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, ha modificato l’art. 38 (Titoli e requisiti dei medici competenti), co. 1 del predetto decreto n. 81/2008, introducendo la lett. d-bis), la cui specifica dizione è: “con esclusivo riferimento al ruolo dei sanitari delle Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, svolgimento di attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni”.
La ratio di tale modifica è stata quella di sanare situazioni di potenziale criticità in materia di salute e sicurezza sul lavoro presenti nelle Forze Armate e nella Polizia di Stato in relazione alle attività dei medici militari, come si evince chiaramente dalla Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 106/2009, che recita testualmente: “… omissis … L’emendamento all’art. 38 serve a consentire ai medici operanti presso le Forze Armate e la Polizia di Stato di continuare a svolgere le funzioni di medico competente – come oggi è loro consentito ex lege (v. art. 44, co. 1, lett. d), d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334) – qualora in possesso di una esperienza professionale specifica almeno quadriennale.”.
La volontà del Legislatore risulta chiaramente diretta ad individuare una disciplina peculiare, applicabile unicamente alle aree “riservate” ai medici delle Forze Armate e della Polizia di Stato senza che in ragione di tale previsione – la quale ha valore di eccezione – possa configurarsi un regime diversificato della disciplina di ordine generale relativa al possesso dei titoli e, per quanto qui interessa, ai requisiti necessari per l’ammissione agli esami per l’iscrizione nell’elenco nominativo dei medici autorizzati alla sorveglianza sanitaria ex D.Lgs. n. 230/95 e successive modifiche e integrazioni.
Pertanto, in condivisione con il Ministero della Salute – Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione, Direzione Generale della Prevenzione – Ufficio II, sulla base delle prescrizioni dell’art. 44 del D.Lgs. n. 334/2000 e delle motivazioni contenute nella Relazione d’accompagnamento al D.Lgs. n. 106/2009, che circoscrivono l’ambito di attività dei medici di cui all’art. 38, co. 1, lett. d-bis), all’interno delle Amministrazioni di appartenenza, si ritiene che tali sanitari, ove non in possesso dei titoli e dei requisiti richiesti dalla normativa di riferimento generale, non possono essere ammessi a sostenere gli esami di abilitazione per l’iscrizione nell’elenco nominativo dei medici autorizzati alla radioprotezione, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Dipendente e collaboratore
Il D.Lgs. 81/2008 ha, altresì, accentuato il legame con l’azienda, prevedendo che il medico competente può svolgere la propria attività in qualità di dipendente del datore di lavoro, cioè mediante un rapporto di lavoro subordinato (art. 39 lett. c)
Viene, pertanto, previsto quale inquadramento debba avere il medico competente ovvero può essere dipendente di una struttura esterna pubblica o privata o convenzionata con l’imprenditore, un libero professionista, o un dipendente del datore di lavoro ed in questo caso il datore di lavoro gli fornisce i mezzi e gli assicura le condizioni necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti, questo al fine di garantire la massima autonomia professionale.
Il medico competente ha altresì la possibilità di avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.
Il Testo Unico ha previsto nondimeno che nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi d’imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento.
Il medico competete può dunque operare indifferentemente quale dipendente di una struttura esterna pubblica convenzionata con il datore di lavoro per l’espletamento dei compiti di sorveglianza sanitaria; ovvero quale dipendente di una struttura esterna privata, convenzionata al medesimo fine; ovvero ancora quale libero professionista, che dunque stipula un contratto di prestazione d’opera professionale continuativa con il datore di lavoro o da ultimo quale dipendente del datore di lavoro qualora ovviamente il dipendente sia in possesso dei requisiti professionali richiesti dalle norme per l’espletamento della funzione.
CASO PRATICO
Ci si interroga in particolare circa la facoltà da parte di una struttura privata convenzionata con un datore di lavoro per la fornitura di servizi di medicina del lavoro, di avvalersi dell’opera di un medico competente esterno alla struttura.
L’art. 17, co. 5, stabilisce che il medico competente può svolgere la propria opera in qualità di dipendente di una struttura esterna pubblica o privata o come libero professionista o come dipendente del datore di lavoro.
Ad avviso della scrivente Associazione nulla osterebbe alla possibilità di un rapporto di collaborazione tra una struttura privata e un medico del lavoro esterno, un libero professionista, affinché quest’ultimo possa svolgere il ruolo di medico competente ai sensi dell’articolo richiamato, per conto della struttura privata, presso i clienti della medesima struttura privata. In questi casi la struttura privata continuerebbe a prestare il proprio servizio completo, comprensivo anche di quello di medicina del lavoro, a favore del suo cliente, in forza di apposito contratto di servizi. Il medico collaboratore, invece, svolgerebbe da un lato la funzione di medico del lavoro per conto della 1 struttura privata, utilizzando i locali, gli ambulatori, le attrezzature, il personale infermieristico, i telefoni, i fax , i computers, le segretarie e quant’altro occorrente messo a sua disposizione dalla medesima struttura privata in esecuzione di un contratto di incarico professionale ad hoc; dall’altro, sarebbe, come prescritto, nominato medico competente dal datore di lavoro che, di fatto, rimarrebbe un cliente della struttura privata.
Alla luce di queste considerazioni la scrivente associazione delinea anche la possibile soluzione da adottare per i connessi problemi di fatturazione prevedendo che la struttura privata debba emettere fattura al datore di lavoro/suo cliente per l’intero servizio, mentre il medico del lavoro collaboratore emetterebbe fattura alla struttura privata per la prestazione di medicina del lavoro che svolge per conto della stessa riconoscendo alla struttura privata il servizio che quest’ultima presterebbe in suo favore consistente, come specificato sopra, nel fornirgli i locali, e tutto quanto gli occorra per lo svolgimento delle sue funzioni.
Ebbene, l’impostazione proposta dalla scrivente non pare trovare alcuna giustificazione nella lett. della legge che disciplina dettagliatamente il profilo funzionale del medico competente individuando diverse modalità di rapporto tra il datore di lavoro ed il medico o la struttura incaricata di svolgere la sorveglianza sanitaria prevista dal Capo IV del D.Lgs. n. 626 del 1994, ma senza prevedere in alcun modo la possibilità di instaurare rapporti di lavoro di natura autonoma tra il medico competente e la struttura incaricata. Al contrario, la norma stabilisce espressamente che il medico deve essere “dipendente” della struttura esterna e tale scelta è diretta a soddisfare la ratio di certezza nell’imputazione delle responsabilità. Né pare possibile un’interpretazione estensiva della norma stessa la quale, come tutte le norme in materia di sicurezza, va interpretata attenendosi al principio di tassatività.
Al quesito si deve pertanto dare risposta negativa.
I suoi collaboratori
Egli può anche avvalersi inoltre della collaborazione di medici specialistici in grado di supportare il suo operato, tuttavia quest’ultimi devono essere scelti dal datore di lavoro il quale ne sopporta gli oneri.
Al medico competente spetta sempre però di conseguenza il controllo sull’operato dei propri collaboratori ed egli rimane direttamente responsabile per le eventuali violazioni sulla normativa di prevenzione imputabili ai collaboratori stessi.
CASO PRATICO
Ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 124 del 2004, ci si interroga in relazione al contenuto dell’ art. 17, co. 2, del D.Lgs. 626/1994, relativo alla facoltà da parte del medico competente di farsi assistere da altri medici specialisti.
La norma in oggetto stabilisce che: “il medico competente può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri”.
Ci chiediamo pertanto se, alla luce di questa norma, un medico competente, che a seguito di circostanze personali, quali ad esempio malattie o altri impedimenti oggettivi, sia concretamente impossibilitato a svolgere personalmente alcune prestazioni inerenti al proprio servizio presso il cliente – quali, ad esempio, il portare a termine le visite mediche – possa farsi sostituire da altri colleghi, specializzati in medicina del lavoro, piuttosto che rinviare la visita a data da concordare. Si chiede, inoltre, di sapere se anche nel caso in cui il medico competente debba eseguire una visita medica di idoneità ed accertamenti a distanza (es. un lavoratore a Napoli di una ditta di Forlì Cesena) possa avvalersi della collaborazione di un altro medico. In questi casi, ad avviso della scrivente associazione, si tratterebbe di pagare gli oneri ad un medico del lavoro collaboratore che sul posto provveda a svolgere la visita e gli accertamenti sanitari indicati dal Protocollo redatto dal Medico Competente originario. Rimarrebbe invece a cura del Medico Competente originario l’onere e la capacità di eseguire e completare l’accertamento con l’espressione del giudizio di idoneità, che il D.Lgs. 626/94 espressamente richiede a carico del medico competente, in ragione della conoscenza che ha dell’azienda ed in particolare dei rischi verificati sia su documenti cartacei di valutazione dei rischi sia attraverso incontri e sopralluoghi.
L’incertezza interpretativa deriva anche dall’ulteriore circostanza per cui su tali problematiche manca una posizione unanime da parte delle varie Aziende di Unità Sanitaria Locale, alcune delle quali consentono la sostituzione del medico del lavoro con un collega, laddove altre ritengono che il medico del lavoro debba svolgere tutte le sue funzioni personalmente negando a priori la possibilità di farsi sostituire.
Ebbene, ad avviso della scrivente associazione non rileverebbe nella normativa vigente alcun impedimento affinché il medico competente associato si faccia sostituire, limitatamente ai giorni di assenza, da un collega, parimenti specializzato.
La soluzione, al contrario, non può che essere negativa. Si deve difatti chiarire che la norma citata non contempla affatto l’ipotesi di sostituzione del medico competente, ma solo la facoltà di avvalersi della collaborazione di altri specialisti. L’incarico di medico competente, difatti, ha natura strettamente fiduciaria, implicando obblighi e precise responsabilità personali e deve essere svolto
personalmente dal medico competente incaricato.
La previsione di cui al co. 2 dell’art. 17 di “collaborazioni con medici specialisti” si deve ritenere riferita a collaborazioni mirate a particolari condizioni di rischio lavorativo che necessitano di visite o indagini in particolari ambiti specialistici. Anche in questi casi, peraltro, la scelta del medico specialista è attribuita al datore di lavoro, a conferma della natura personale e fiduciaria degli incarichi inerenti alla sorveglianza sanitaria.
Al quesito si deve pertanto dare risposta negativa, ribadendo che la prassi di farsi sostituire da un collega deve ritenersi non consentita alla luce delle norme vigenti. L’unica eccezione a questo orientamento può consistere nella assenza per malattia o in altri impedimenti oggettivi del medico competente, a seguito dei quali potrebbe verificarsi la necessità della sua sostituzione, sempre su incarico del datore di lavoro, con altro medico. È evidente tuttavia, che in questo caso il sostituto, per il periodo di nomina, risponderebbe personalmente del proprio operato e nell’eventualità di controlli sanitari periodici già programmati, dovrà necessariamente provvedere non solo all’effettuazione materiale della visita ma anche al rilascio del certificato di idoneità alla mansione, assumendosi la piena responsabilità della valutazione operata.
Prevenzione primaria e secondaria
La funzione del D.Lgs. 81/2008 tuttavia non esaurisce la sua portata normativa esclusivamente fissando i requisiti e le competenze ma richiede al medico competente una prestazione professionale che non consiste esclusivamente nella semplice visita medica ma che si estende si al campo della prevenzione primaria sia a quella della prevenzione secondaria. Infatti il medico competente deve fare in modo di garantire ai lavoratori prestazioni che implichino qualità e specifiche conoscenze ed esperienze professionali dei danni e dei rischi correlati nel luoghi di lavoro, conoscenze dei protocolli sanitari da attuare, capacità formativa e informativa, adeguate conoscenze in campo di psicologia del lavoro, organizzazione del lavoro, fatica mentale ed ergonomia; e infine conoscenze delle norme di prevenzione nei luoghi di lavoro.
La prevenzione primaria consiste in approcci multidisciplinari con le altre figure professionali presenti in azienda la prevenzione secondaria consiste nella tutela psicofisica del lavoratore tenendo conto cioè delle condizioni in cui esplica la sua attività lavorativa. Il medico competente deve dunque individuare quelli che sono i primi segni biologici e psicologici di esposizione ai rischi negli ambienti di lavoro e la predisposizione ad individuare nuove situazioni di rischio. Altri elementi fondamentali individuati dal D.Lgs. 81/2008 sono l’indipendenza intellettuale del medico competente aziendale, la ricerca del consenso dell’atto medico cui il lavoratore è obbligatoriamente sottoposto e l’idoneità alla mansione specifica.
NOTA: In merito all’indipendenza intellettuale la L. fissa alcune possibilità contrattuali del rapporto tra medico e datore di lavoro. Viene definitivamente superata la problematica circa la possibilità che le visite mediche sui lavoratori esposti a rischio possano essere effettuate dal medico non dipendente da una struttura pubblica. Il datore di lavoro, nell’ambito delle indicazioni formulate dalla legge, ha la più ampia possibilità di scelta.
Le visite mediche
In merito alle visite mediche effettuate dal medico competente, esse hanno carattere sia preventivo sia periodico, sia su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica, sia in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica, sia alla cessazione del rapporto di lavoro.
Al “medico di sorveglianza” spetta definire il programma di sorveglianza sanitaria che dovrebbe essere compreso nel documento di valutazione previsto fra le misure di prevenzione e protezione. Gli accertamenti hanno lo scopo di valutare la situazione clinica del lavoratore avendo presente sia la storia lavorativa, sia la presenza di eventuali patologie che potrebbero avere un peggioramento in conseguenza dell’esposizione in ambiente lavorativo.
L’attività del medico è infine subordinato all’ottenimento del consenso all’atto medico cui il lavoratore è obbligatoriamente sottoposto. Tale conseguimento è legato ad una adeguata informazione sugli obbiettivi sui metodi e sui benefici che si intende raggiungere in seguito all’accertamento sanitario.
Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui all’art. 25, co. 1, lett. c), D.Lgs. 81/2008, secondo i requisiti minimi contenuti nell’Allegato IIIA e predisposta su formato cartaceo o informatizzato.
Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:
a) idoneità;
b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
c) inidoneità temporanea;
d) inidoneità permanente.
Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di validità.
Dei giudizi dati, il medico competente informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore.
Avverso i giudizi del medico competente è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
SANZIONI PENALI: Sanzioni per il medico competente
Art. 25, co. 1, lett. a): con riferimento alla valutazione dei rischi: arresto fino a tre mesi o ammenda da 438,40 a 1753,60 euro [Art. 58, co. 1, lett. c)]
Art. 25, co. 1, lett. b), c), g): arresto fino a due mesi o ammenda da 328,80 a 1.315,20 euro [Art. 58, co. 1, lett. b)]
Art. 25, co. 1, lett. d), e), primo periodo: arresto fino a un mese o ammenda da 219,20 a 876,80 euro [Art. 58, co. 1, lett. a)]
Art. 25, co. 1, lett. l): arresto fino a tre mesi o ammenda da 438,40 a 1753,60 euro [Art. 58, co. 1, lett. c)]
SANZIONI AMMINISTRATIVE: Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente
Art. 25, co. 1, lett. e), secondo periodo: sanzione amministrativa pecuniaria da 548,00 a 1.972.80 euro [Art. 55, co. 5 lett. h)]
Sanzioni per il medico competente
Art. 25, co. 1, lett. h), i): sanzione amministrativa pecuniaria da 657,60 a 2.192,00 euro [Art. 58, co. 1, lett. d)]
Il giudizio di idoneità
Alla fine dunque di tali accertamenti il medico competente deve esprimere un giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Al riguardo si può avere un idoneità assoluta per la quale oltre a non sussistere condizioni patologiche non si ritrovano quelle modificazioni biologiche che richiedono interventi sull’ambiente, sull’organizzazione del lavoro o sull’uomo; una idoneità parziale, condizionata cioè da fattori legati al rischio professionale o da alcune menomazioni, che possono negativamente incidere sulla mansione lavorativa o, dalla presenza di indicatori biologici di effetto che sono espressioni di un danno biologico; ed infine si può avere una non-idoneità, quando sussistono condizioni patologiche, soprattutto degli organi impegnati nei processi di biotrasformazione dei tossici industriali ovvero quando l’impegno funzionale richiesto dall’espletamento della mansione si rivolge ad organi già menomati. Tale non-idoneità potrà avere carattere temporaneo o permanente.
NOTA: Il giudizio di idoneità non sempre è assoluto (idoneo, non idoneo) ma può essere formulato per gradi intermedi: idoneità con prescrizione, quando il lavoratore è ritenuto idoneo con la prescrizione dell’uso di dispositivi di protezione individuale; idoneità parziale, per cui si preclude al lavoratore lo svolgimento di alcune operazioni pericolose alla sua o all’altrui incolumità; idoneità o inidoneità temporanea, quando si presume che le condizioni del lavoratore possano modificarsi nel tempo e quindi è resa necessaria una successiva verifica; inidoneità totale, in tal caso occorre suggerire al datore di lavoro le mansioni che il lavoratore può svolgere in alternativa, in maniera che si possano rendere operative le conclusioni del medico competente senza peraltro rendere palese l’eventuale diagnosi clinica.
SUGGERIMENTO: Per fare un esempio si può ritenere che le mansioni che costringono il lavoratore a mantenere una posizione eretta siano controindicate per coloro che soffrono di un insufficienza venosa agli arti inferiori e pertanto potrebbero essere giudicati parzialmente idonei alla mansione.
Nel caso in cui il medico competente esprima un giudizio di inidoneità parziale o temporanea o totale, ne informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore.
NOTA: Il decreto non indica limiti temporali per l’invio di tale comunicazione, ma è evidente che essa debba avvenire in tempi rapidi onde non esporre ulteriormente il lavoratore a un rischio che, secondo le conclusioni del medico, ha già iniziato a determinare un danno alla salute.
GIURISPRUDENZA: Il licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio, ove sia determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo a quest’ultimo, è legittimo – ai sensi dell’art. 10, co. 3, della L. n. 68 del 1999 – solo in presenza della perdita totale della capacità lavorativa, ovvero di una situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, il cui accertamento compete all’apposita commissione medica prevista dalla citata disposizione, alla quale spetta, altresì, la verifica dell’impossibilità di reinserire, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, il disabile all’interno dell’azienda, non essendo sufficiente il giudizio di inidoneità espresso dal medico competente ai sensi del d.lgs. n. 81 del 2008. (Cassazione civile, sez. lav., 28/04/2017, n. 10576).
È naturale però che affinché un giudizio di idoneità possa svolgere compiutamente il proprio ruolo di tutela della salute del lavoratore, è ovvio che il medico deve ricevere dal lavoratore tutte le informazioni possibili: nel momento in cui si concedesse al lavoratore il diritto di “valutare” quali notizie gli conviene comunicare e quali no al medico competente, si verificherebbe una grave ingerenza nell’operato del sanitario il quale non potrebbe più rispondere di lesioni personali gravi per errato giudizio di idoneità. Tutto questo è contrario ai più consolidati principi del diritto della sicurezza sul lavoro e della Costituzione: tra gli obblighi del lavoratore di partecipare alla sicurezza propria e altrui, spicca quello di comunicare sempre e prontamente ogni cambiamento del proprio stato fisico al medico competente in modo che quest’ultimo possa tempestivamente formulare un giudizio di idoneità realmente tutelante la salute del lavoratore.
Avverso però il giudizio del medico competente è ammesso ricorso entro trenta giorni dalla comunicazione, ad opera sia del lavoratore che del datore di lavoro, all’organo di vigilanza della ASL.
GIURISPRUDENZA: In tema di idoneità al lavoro con prescrizioni, l’art. 42 del d.lgs. n. 81 del 2008 non contiene alcuna previsione limitativa del licenziamento in quanto collega l’obbligo di mantenimento in servizio del lavoratore all’obiettiva possibilità di reperire mansioni che gli consentano di espletare la prestazione senza pregiudizio per la sua salute, anche se con compromissione della professionalità qualora vi sia accettazione di un demansionamento, sicché, fermo l’obbligo del datore di lavoro di far svolgere mansioni compatibili con lo “status” del lavoratore, non è esclusa la possibilità del recesso qualora le stesse non siano rinvenute in azienda. (Cassazione civile, sez. lav., 26/01/2017, n. 2008).
L’art. 42 del d.lgs. n. 81 del 2008, nel prevedere che il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori, nell’inciso “ove possibile” contempera il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e quello al libero esercizio dell’impresa, ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo di ricercare – anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto – le soluzioni che, nell’ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell’onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l’attuazione dei detti diritti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, che aveva ritenuto non adempiuto l’obbligo di ricerca di diverse mansioni, comunque di autista, in favore di lavoratore licenziato perché divenuto inabile alle mansioni specifiche di autista internazionale). (Cassazione civile, sez. lav., 01/07/2016, n. 13511).
NOTA: Vi è però una notevole differenza tra le visite richieste dal lavoratore e gli accertamenti preventivi o periodici sulle persone dei lavoratori, come è comprovato dal fatto che solo avverso il giudizio di idoneità è ammesso ricorso, e ciò perché una tale decisione del medico aziendale potrebbe menomare gravemente la posizione del lavoratore.
Dunque finalità del D.Lgs. 81/2008 è fare sì che, anche alla luce dei protocolli sanitari e delle risultanze diagnostiche, siano attuate tutte le misure di prevenzione e protezione rivolte all’abolizione o quantomeno alla riduzione del rischio.
NOTA: L’accento sull’ambiente di lavoro comporta che l’idoneità non può essere concessa in astratto a una determinata mansione, ma va riferita a quella mansione, in quel posto di lavoro, in quella fabbrica in cui esiste una precisa organizzazione del lavoro che determina tempi e modalità di esposizione a specifici rischi. E a questo il medico viene indirizzato dall’obbligo, che gli deriva per legge, di visitare almeno due volte all’anno i posti di lavoro.
L’idoneità fisica deve essere pertanto riferita al possesso da parte del lavoratore delle capacità comunemente necessarie per lo svolgimento delle attività lavorative oggetto del contratto di lavoro.
La non idoneità permanente consente pertanto il recesso del contratto. Ma il contratto può essere rescisso anche nel caso di una impossibilità parziale del lavoratore, qualora il datore di lavoro dimostri di non potere ricollocare quel lavoratore all’interno dell’azienda in attività confacenti anche di livello inferiore.
Ciò impone che il datore di lavoro, con l’ausilio del medico competente, operi attivamente per individuare all’interno dell’azienda un’adeguata collocazione del dipendente e questo ancor di più nei casi in cui si sia in presenza di una inidoneità che si può presumere temporanea anche se di lunga durata.
E soprattutto nei casi di inidoneità parziale, sia temporanea che permanente, il medico deve indicare quali sono i compiti o le esposizioni che vanno evitate e, dunque, qual è il campo delle residue idoneità.
L’art. 41, D.Lgs. 81/2008 stabilisce dunque che la sorveglianza sanitaria è affidata al medico competente e comprende gli accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della loro idoneità alla mansione specifica.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito al possibile conflitto di interessi derivante dalla stipula di convenzioni tra alcuni enti pubblici e alcune aziende sanitarie per lo svolgimento delle attività di sorveglianza sanitaria, in relazione a quanto previsto dall’art. 41, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2008 secondo cui la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente.
Si fa presente che tale situazione appare notevolmente diffusa in alcune regioni, considerato che “tra le competenze istituzionali delle Aziende Sanitarie Provinciali, l’attività di “medicina del lavoro” riguarda le attività di vigilanza e non già quelle di sorveglianza, come espressamente indicato dall’art. 13”, e ci si chiede di sapere se “risulti praticabile la possibilità di avvalersi delle prestazioni delle Aziende Sanitarie Provinciali per quanto attiene all’attività di “sorveglianza sanitaria” e alle altre attività del medico competente previste dal D.Lgs. n. 81/2008”.
Al riguardo si osserva che l’art. 39 al co. 2, del D.Lgs. n 81/2008 prevede che il medico competente svolge la propria opera in qualità di:
- dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l’imprenditore;
- libero professionista;
- dipendente del datore di lavoro.
Al successivo co. 3 che “il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente”.
Il contenuto lett.le delle norme sopra citate chiaramente consente al datore di lavoro, tramite convenzioni con una struttura pubblica, come una ASL, o anche con una struttura privata, di potersi avvalere, per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, dell’attività di medici competenti dipendenti di tali strutture.
Resta esclusa la possibilità di potersi avvalere, per effettuare l’attività di medico competente, di dipendenti di strutture pubbliche assegnati ad uffici che svolgono una attività di vigilanza, per i quali vige il divieto assoluto di poter svolgere tale funzione “ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale”.
Stante la previsione dell’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, per cui la sorveglianza sanitaria è effettuata esclusivamente dal medico competente, il datore di lavoro può avvalersi delle prestazioni delle Aziende Sanitarie Locali per quanto attiene all’attività di “sorveglianza sanitaria” e alle altre attività di medico competente previste dal D.Lgs. n. 81/2008, limitatamente alla messa a disposizione dell’opera di dipendenti di tale struttura, se in possesso dei titoli e dei requisiti previsti dall’art. 38 e sempre che non sussistano condizioni di incompatibilità, di cui al co. 3 dell’art. 39, previa sottoscrizione di una specifica convenzione per l’effettuazione dell’attività di medico competente.
GIURISPRUDENZA: Al fine di a soddisfare il precetto normativo il sanitario che esegue le visite mediche, nel caso specifico, non può non essere in possesso di specializzazione in malattie psichiatriche e deve essere supportato da esami clinici e biologici, necessari per rendere effettiva la protezione dal rischio e rientranti nei controlli che egli può disporre nell’esercizio delle funzioni tipiche riconosciutegli dal decreto citato, art. 16, in tema di sorveglianza sanitaria. (Cassazione penale, sez. III, 25/05/2006, n. 20220).
In tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni – ora disciplinata precipuamente dall’art. 16 T.U. sulla sicurezza – non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni – che la legge affida al garante – concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato – al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo – e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. (Cassazione penale, sez. IV, 21/04/2016, n. 22837).
In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 d.lg. 9 aprile 2008, n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. (Cassazione penale, sez. IV, 16/12/2015, n. 4350).
In materia di infortunio sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex articolo 16 del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco e investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa; permanendo comunque, a carico del datore di lavoro delegante, l’obbligo di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive. (Cassazione penale, sez. III, 10/01/2018, n. 14352).
Ciò non significa che gli accertamenti in questione debbano necessariamente comprendere esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio, e che un eventuale giudizio di inidoneità totale o parziale o temporanea debba necessariamente essere preceduto da tali esami ed indagini, dal momento che essi sono richiesti solo se ritenuti necessari dal medico competente, che quindi potrebbe anche esprimere il giudizio di inidoneità sulla base del solo esame clinico del lavoratore o di altra documentazione medica di cui sia comunque in possesso.
Ma, se è vero, che gli esami clinici e biologici e le indagini diagnostiche possono pure non essere a volte necessari, è anche vero che il senso della disposizione è invece che la loro effettuazione costituisca la normalità perché il medico possa esprimere un eventuale giudizio di non idoneità al lavoro o alla mansione.
La disposizione, dice che gli accertamenti in questione comprendono gli esami e le indagini che il medico ritenga necessari in relazione al rischio connesso alla specifica mansione, il che appunto sembra significare che la scelta del medico dovrebbe essere di solito limitata piuttosto al tipo degli esami e delle indagini occorrenti per la valutazione del rischio connesso alla mansione concreta e non già alla stessa effettuazione degli esami e delle indagini, che normalmente, nella generalità dei casi, dovrebbero invece ritenersi richiesti dalla disposizione legislativa.
Non possono quindi esservi dubbi che la normativa attuale in esame distingue nettamente, da un lato, gli accertamenti sanitari finalizzati alla formulazione di un formale giudizio di idoneità o inidoneità alla mansione specifica ed aventi gli effetti e le conseguenze giuridiche dianzi indicati e, da un altro lato, tutte le altre visite mediche, che non rientrano negli accertamenti che il medico competente è tenuto ad effettuare, ai sensi della successiva lett. i), quando siano richieste dal lavoratore e qualora la richiesta sia correlata a rischi professionali.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione dell’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008. In particolare si chiede di sapere “se nell’effettuazione delle visite periodiche per il rinnovo dell’idoneità psicofisica all’impiego, come da art. 41 D.Lgs. 81/08, detta visita va svolta in orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il lavoratore a visita anche quando esso sia fuori dal normale orario di servizio. Inoltre se il tempo impiegato dal lavoratore per effettuare detta visita qualora si svolga al di fuori dell’orario di servizio deve o meno essere retribuito come ore di lavoro straordinario.”
Al riguardo si osserva che la sorveglianza sanitaria rientra fra gli obblighi del datore di lavoro di cui all ’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2008 con l’obiettivo della tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori attraverso la valutazione della compatibilità tra condizioni di salute e compiti lavorativi.
Come previsto dall’art. 20 lett. i) del D.Lgs. n. 81/2008, il sottoporsi ai controlli sanitari rientra fra gli obblighi del lavoratore quale soggetto attivo del processo di sicurezza.
Il contenuto tassativo e la “ratio” dell’art. 18, co. 1, lett. a), del decreto in parola volto alla tutela della integrità fisica e psichica del lavoratore, non lasciano spazi o deroghe circa la osservanza dell’obbligo prescritto dalla norma di salute e sicurezza. Le visite mediche in esame non possono, in considerazione della particolarità del bene tutelato, per nessun motivo essere omesse o trascurate dal soggetto obbligato, di contro il lavoratore non può esimersi dal sottoporsi all’effettuazione della visita medica.
Se è pur vero che l’art. 41 non indica espressamente che la visita medica debba essere eseguita durante l’attività lavorativa, è di tutta evidenza che l’effettuazione della visita medica è funzionale all’attività lavorativa e pertanto il datore di lavoro dovrà comunque giustificare le motivazioni produttive che determinano la collocazione temporale della stessa fuori dal normale orario di lavoro. Nel contempo non si può ignorare quanto previsto dall’art. 15, co. 2, che espressamente prevede “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”.
Ciò posto, si ritiene che, in attuazione al disposto normativo sopra richiamato, i controlli sanitari debbano essere strutturati tenendo ben presente gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori. Laddove, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi, il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall’ordinamento.
GIURISPRUDENZA: L’omissione della visita di idoneità prevista dall’art. 41 del d.lgs. n. 81 del 2008 (a fronte, nella specie, di certificazione medica presentata dal prestatore) costituisce grave e colposo inadempimento del datore di lavoro che legittima la reazione del lavoratore, ai sensi dell’art. 1460 c.c., per violazione delle prescrizioni legali a tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni assegnate. (Cassazione civile, sez. lav., 30/11/2016, n. 24459).
In tema di sicurezza sul lavoro, la contravvenzione prevista dall’art. 25, co. primo, lett. b) del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, che sanziona l’inosservanza da parte del medico competente dei protocolli definiti in funzione dei rischi specifici dei lavoratori, sottoposti a visita periodica, ha natura di reato permanente e di pericolo astratto, per cui la condotta illecita si protrae sino al momento di ottemperanza dell’obbligo di legge e ai fini della sua configurazione non è necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivi un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore. (Cassazione penale, sez. III, 23/11/2016, n. 6885).
La cartella sanitaria
L’obiettivo è dunque il pieno e proficuo inserimento nel proprio lavoro anche dei soggetti portatori di ridotte capacità lavorative, posto che le condizioni lavorative siano idonee, o vengano rese tali, ad accogliere tali lavoratori.
Infine a completamento della sua attività il medico competente è tenuto a documentare il suo lavoro e ad informare sia i lavoratori che il datore di lavoro.
In pratica per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, il medico deve tenere sotto la propria responsabilità una cartella sanitaria; deve informare ciascun dipendente del significato degli accertamenti cui è sottoposto e dei risultati ottenuti da tali esami clinici, visita gli ambienti di lavoro almeno 1 o 2 volte all’anno ed esprime il proprio giudizio riguardo all’igiene e la salubrità dell’ambiente di lavoro ai fini di migliorare il servizio di prevenzione e protezione; partecipa alle riunioni periodiche tenute dall’azienda e comunica i risultati collettivi anonimi della sorveglianza sanitaria praticata.
Un’ultima notazione non meno importante è che il lavoratore di cui al co. 1 che viene adibito a mansioni inferiori conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria. Qualora il lavoratore venga adibito a mansioni equivalenti o superiori si applicano le norme di cui all’art. 2103 del codice civile.
L’obbligo di monitorare la salute dei lavoratori nella legge spegnola sulla prevenzione dei rischi sul lavoro
Le considerazioni formulate fin’ora sulla delimitazione dell’ambito di applicazione dei controlli sanitari così come definiti dalla normativa italiana, risultano confermate analizzando la disciplina di altri ordinamenti europei, fra cui quello spagnolo.
La Estrategia Española de Seguridad y Salud en el Trabajo 2015-2020, richiamante la precedente Estrategia 2007-2012, ha evidenziato nei sui obiettivi la chiara e ferma esigenza di promuovere una “vigilancia de la salud más eficiente”; il controllo della salute nell’ambiente di lavoro, viene a costituire uno degli aspetti che rappresentano la vera e propria effettività delle misure preventive.
Il predetto obbligo di vigilancia de la salud è normato nella Ley 31/1995, de 8 de noviembre, de prevención de Riesgos Laborales (LPRL), ed si estende a tutte le imprese di qualsiasi settore ed attività. L’art. 22 LPRL, rispettando i principi contenuti nella direttiva quadro 89/391/CEE (art. 14), ha scrupolosamente previsto che “el empresario garantizará a los trabajadores a su servicio la vigilancia periódica de su estado de salud en función de los riesgos inherentes al trabajo” (“il datore di lavoro garantirà ai lavoratori al suo servizio il monitoraggio periodico del suo stato di salute in base ai rischi insiti nel lavoro”). Siamo in presenza, perciò, di accertamenti tarati in relazione alle singole attività e alle singole funzioni esercitate nell’ambiente di lavoro o, come chiaramente disposto, “proporcionales al riesgo” (“proporzionale al rischio”).
Sulla base del consenso espresso dagli stessi lavoratori a garanzia della loro dignità, il controllo sanitario della salute diviene, allora, strettamente connesso con la valutazione dei rischi esistenti nel luogo di lavoro.
Sebbene l’art. 22 LPRL si attribuisca genericamente alla “vigilancia periódica” (“viglianza periodica”), il real decreto 39/1997, de 17 de enero, por el que se aprueba el Reglamento de los Servicios de Prevención, all’art. 37, co. 3, prevede più esattamente che il controllo della salute, da parte di personale sanitario “con competencia técnica, formación y capacidad acreditada” (“con competenza tecnica, formazione e abilità accreditate”), include anche una visita iniziale, consecutiva all’assunzione o all’assegnazione di mansioni specifiche implicanti nuovi rischi, nonché seguente ad un’assenza prolungata dal lavoro per motivi di salute.
Come segnalato in precedenza, ai sensi del menzionato art. 22, co. 1, LPRL la sorveglianza sanitaria deve effettuarsi solo ed esclusivamente se il lavoratore presta il suo consenso. A quest’ipotesi fanno, tuttavia, eccezione in base al disposto normativo alcuni casi in cui gli accertamenti sono obbligatori anche per i prestatori di lavoro, ovvero quando siano indispensabili per valutare gli effetti delle condizioni di lavoro sulla loro salute o per verificare se lo stato di salute del lavoratore possa rappresentare un pericolo per lo stesso, per gli altri lavoratori o per le altre persone collegate all’impresa, come pure quando sia disposto in una previsione legale in corrispondenza di specifici rischi e attività particolarmente pericolose.
Questa previsione normativa di obbligatorietà dei controlli sanitari in considerazione di particolari rischi fissati, nell’ordinamento italiano costituisce il fondamento posto alla base dell’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, ma nella Ley de Prevención de Riesgos Laborales assume, al contrario, la valenza di eccezione. Va a tal proposito considerato che nella casistica ricorrente, come ha più volte chiarito la dottrina, le eccezioni, vista l’importanza che rivestono, sono volte a diventare la regola generale o anche detta “prassi”. D’altra parte va considerato anche che la “volontarietà” può trasformarsi in “obbligatorietà”, diventando appunto la “prassi”, in virtù di un’interpretazione estensiva del dato normativo.
Volendo riflettere sull’argomento non possiamo che acorgerci dell’incertezza alla base del sistema che a volte potrebbe anche trasformarsi in ambiguità, anche andando a contemplare quel carattere di imprescindibilità della realizzazione di controlli medici al fine di valutare gli effetti delle condizioni di lavoro sulla salute dei lavoratori. La “Condizione di lavoro” è espressamente definita nell’art 4, co. 7, LPRL, come “qualsiasi caratteristica del lavoro che può avere un’influenza significativa nella creazione di rischi per la salute e la sicurezza”. In sostanzza si fa riferimento alle caratteristiche del lavoro (proprie di quasi tutte le tipologie di lavoro) “relative alla sua organizzazione e gestione”, che possono influenzare l’entità dei rischi a cui è esposto il lavoratore (art. 4, co. 7, lett. d), LPRL).
Volendo allora delineare l’ambito di applicazione (che sarebbe altrimenti illimitato) dei controlli obbligatori e di tutelare la dignità della persona del lavoratore ai sensi dell’art. 22, co. 2, LPRL, l’interpretazione restrittiva prevalente si orienta nel senso della necessità da parte del datore di lavoro di dimostrare la presenza di elementi di fatto che giustifichino di tali accertamenti.
Rispetto alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 81/2008, un’ulteriore profilo da esaminare nella normativa spagnola riguarda l’attribuzione dell’attività di sorveglianza sanitaria in capo a personale medico esperto (art. 22, co. 6, LPRL) nell’ambito del servicio de prevención, interno o esterno. Più nello specifico il servicio de prevención interno viene definito come “l’insieme delle persone e dei mezzi dell’azienda che siano necessari per realizzare le attività di prevenzione”; invece, quello esterno è costituito “da un organismo specializzato per lo svolgimento di attività di prevenzione, consulenza e assistenza a seconda delle tipologie di rischio” (art. 10, co. 2, real decreto 39/1997). A differenza dell’ordinamento italiano, non è invece previsto l’obbligo a carico del datore di lavoro di nominare un responsabile.
In definitiva, si tratta di un servizio in grado di fornire al datore di lavoro la consulenza ed il sostegno necessario in funzione dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro e in relazione all’attuazione dei programmi di prevenzione, alla valutazione dei rischi che possono compromettere la salute e la sicurezza dei lavoratori, alla individuazione delle misure di prevenzione, alla informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, nonché, appunto, al controllo della loro salute (art. 31, co. 3, LPRL).
Il servicio de prevención ha un carattere interdisciplinare ben definito e ha la particolarità di saper coniugare due o più discipline tecniche o scientifiche in materia di prevenzione dei rischi (art. 31, co. 3, LPRL e art. 10, co. 3, real decreto 39/1997); i mezzi a disposizione devono, cioè, essere adeguati allo svolgimento delle sue funzioni e la formazione, specializzazione, il numero dei componenti e le risorse tecniche devono essere sufficienti ed appropriati in considerazione della dimensione della azienda e dei tipi di rischi a cui i lavoratori possono essere esposti.
Perciò, a differenza della normativa italiana in cui sono presenti distinti soggetti e/o organismi, ovvero il servizio di prevenzione e protezione (S.P.P.), all’interno del quale è nominato il Responsabile (R.S.P.P.), ed il medico competente (M.C.), cui sono attribuiti specifici compiti e funzioni, nella Ley de Prevención de Riesgos Laborales il medico incaricato della sorveglianza sanitaria è parte integrale del servicio de prevención.
Il personale sanitario del servicio deve collaborare con gli altri componenti, al fine di “indagare ed analizzare la possibile relazione tra l’esposizione ai rischi professionali e i danni alla salute”, e inoltre di proporre le misure per migliorare le condizioni e l’ambiente di lavoro (art. 37, co. 3, lett. f), real decreto 39/1997).
Va evidenziato, comunque, che la collaborazione in équipe alle attività di prevenzione dei rischi formalizzata nell’ambito del servicio de prevención è un punto fondamentale anche nell’ordinamento italiano; infatti, tra i distinti soggetti deputati alla garanzia della salute nell’ambiente di lavoro, ovvero il Medico Competente (M.C.) ed il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.) deve nascere uno stretto rapporto di collaborazione in équipe volto alla realizzazione di tutte quelle attività summenzionate. Difatti, i compiti assegnati dal D.Lgs. n. 81/2008 al Medico Competente (M.C.) ed al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.) sono “destinati ad fondersi fra loro”, trattandosi di figure professionali che collaborano a stretto contatto con il datore di lavoro, affiancandolo in importanti decisioni, tra i quali fin da subito quello della valutazione dei rischi.
NOTA: Da una più attenta analisi del dettato normativo del D.Lgs. 81/08 appare evidente l’anomalia (mai sanata) che pervade il sistema sanzionatorio che da una parte prevede sanzioni penali per l’ipotesi di mancata collaborazione del Medico Competente (M.C.) alla valutazione dei rischi, mentre dall’altra, nulla ha disposto quanto al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.).
Monitoraggio individuale dello stato di salute dei dipendenti nell’ordinamento francese
In questo ambito risulta di particolare interesse prendere in esame la disciplina in materia di sorveglianza sanitaria propria dell’ordinamento francese, soprattutto alla luce della recente e piuttosto dibattuta riforma attuata con la loi n. 2016-1088 du 8 août 2016 relative au travail, à la modernisation du dialogue social et à la sécurisation des parcours professionnels (sul lavoro, modernizzando il dialogo sociale e assicurando percorsi di carriera).
Le significative differenze con l’ordiamento italiano sono numerose e va ricordato che la creazione dei servizi di medicina del lavoro in Francia è, in verità, risalente nel tempo (cfr. la loi n. 46-2195 du 11 octobre 1946, Organisation des services médicaux du travail).
Inoltre, occorre ricordare la loi n. 2002-73 du 17 janvier 2002 de modernisation sociale che ha introdotto modifiche, riferendosi non più ai “servizi di medicina del lavoro” o ai “servizi medici del lavoro”, bensì ai “servizi di salute sul lavoro” (services de santé au travail). La differenza terminologica ha tradotto il cambiamento di prospettiva degli istituti nel senso della loro integrazione nella dimensione della salute sul lavoro.
Ulteriori modifiche alle disposizioni in materia di sorveglianza sanitaria sono state in seguito introdotte dalla loi n. 2011-867 du 20 juillet 2011 relative à l’organisation de la médecine du travail, nella direzione di una “modernizzazione della medicina del lavoro verso nuove sfide”.
Al fine di semplificare la materia, la loi n. 2016-1088 è, da ultimo, intervenuta disciplinando nuovamente la materia operando anche sotto diversi profili.
La disciplina specifica dei controlli della salute del lavoratore è normata nel Code du travail (artt. L4622 ss.), dove la figura del medico del lavoro è caratterizzata all’interno dei services de santé au travail, predisposti dal datore di lavoro con il compito di “impedire qualsiasi alterazione della salute dei lavoratori a causa del loro lavoro”. Più nello specifico ad essi è assegnato il ruolo di porre in essere tutte le azioni necessarie per preservare la salute fisica e mentale dei lavoratori e, particolarmente, di proporre al datore, nonché gli stessi lavoratori e loro rappresentanti, le misure necessarie di prevenzione o riduzione dei rischi professionali e di miglioramento delle condizioni di lavoro (art. L4622-2). Tali servizi possono essere di una sola impresa o comuni a più imprese (art. L4622-5).
Negli artt. L4622-7 ss. sono regolati i services de santé au travail interentreprises (servizi sanitari business-to-business), quali servizi assicurati da un organismo distinto dallo stabilimento nel quale sono occupati i lavoratori che ne beneficiano; le funzioni di questi servizi sono svolte da una “équipe pluridisciplinaire de santé au travail” che comprende oltre ai medici del lavoro, che la coordinano, altre figure di collaboratori. Perciò, i services de santé au travail non si individuano nel solo medico del lavoro.
Ulteriormente, gli stessi servizi armonizzano le loro azioni con quelle svolte dai services sociaux du travail, regolati dall’art. L4631-1 e presenti in ogni luogo di lavoro che abitualmente impiega almeno 250 lavoratori, al fine di facilitare loro l’esercizio dei diritti sociali.
Più precisamente il Code du travail assegna al medico del lavoro un ruolo squisitamente preventivo, che consiste nel “controllo delle condizioni di igiene del lavoro, di rischi di contagio e dello stato di salute dei lavoratori” (art. L4622-3). Questa funzione è svolta in concorso con il datore di lavoro, i membri del Comité d’hygiène, de sécurité et des conditions de travail o i délégués du personnel (art. L4622-4).
I servizi attuano la sorveglianza sanitaria “in funzione dei rischi che riguardano la salute sul lavoro” e più nello specifico va sottolineato che, differentemente dall’ordinamento italiano, il Code du travail chiarisce che “ogni lavoratore beneficia di un controllo individuale del suo stato di salute effettuato dal medico del lavoro” e dai suoi collaboratori (art. L4624-1). Con le modifiche apportate dalla loi n. 2016-1088 si tratta di una prima visite d’information et de prévention individuale, successiva all’assunzione, nonché di una ulteriore visita periodica, la cui periodicità non può eccedere i 5 anni; le modalità e la periodicità del controllo tengono conto delle condizioni di lavoro, dello stato di salute, dell’età del lavoratore e dei rischi professionali ai quali lo stesso è esposto.
Decisamente non contemplata la possibilità di un controllo sanitario a richiesta sia del lavoratore sia del datore di lavoro in quanto questa ipotesi di visite a richiesta, come già anticipato, non è formalmente contemplata nel D.Lgs. n. 81/2008, anche se generalmente in dottrina viene ammessa in via interpretativa.
Quanto si è in presenza di lavoratori a cui siano state assegnate mansioni che presentano rischi specifici per la sicurezza dei lavoratori o terzi presenti nell’ambiente di lavoro, ai sensi dell’art. R4624-23 è previsto un controllo individuale “renforcé” del loro stato di salute eseguito dal medico del lavoro prima dell’assunzione. Inoltre, il rinnovo della visita ha cadenza periodici definita dal medico del lavoro, comunque non superiore a 4 anni (art. R4624-28).
NOTA: Situazioni di rischio particolari esplicitamente individuate nel Code du travail, peraltro molto simili a quelle specificate nel D.Lgs. n. 81/2008 e riconducibili alla sorveglianza sanitaria obbligatoria, sono l’esposizione all’amianto, al piombo, agli agenti cancerogeni, mutageni o tossici, agli agenti biologici, alle radiazioni ionizzanti, ai rischi iperbarici, ai rischi di caduta dall’alto nelle operazioni di montaggio o smontaggio. L’elenco può tuttavia, ove necessario, essere completato dal datore di lavoro, in conformità con la valutazione dei rischi di cui all’art. L4121-3.
È, in sostanza, la stessa legge a collegare l’opportunità degli accertamenti sanitari agli esiti dell’attività di valutazione dei rischi.
Le visite in fase preassuntiva negli altri ordinamenti
Il dibattito più acceso, sotto molteplici aspetti, sia a livello di ordinamento nazionale italiano che francese, riguarda la possibilità di eseguire visite preassuntive da parte del Medico Competente (M.C.).
Da un raffronto sulla normativa italiana si evince che il D.Lgs. n. 626/1994 prevedeva solo accertamenti preventivi e periodici, mentre il D.Lgs. n. 81/2008, come noto, in seguito alle modifiche ed integrazioni apportate dal D.Lgs. n. 106/2009, ammette la possibilità di visite mediche preventive in fase preassuntiva.
Esaminado l’art. 41, co. 2, lett. e-bis), del D.Lgs. n. 81/2008 e l’art. 5, ult. Co., Stat. lav. si evince che, secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente, gli enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico, proprio al fine di garantirne l’imparzialità, hanno la facoltà di disporre controlli di idoneità dei lavoratori, anche preassuntivi. Questi controlli sono ora esercitabili, ex D.Lgs. n. 81/2008, anche da medici strettamente legati al datore di lavoro che li ha incaricati.
A tal proposito va evidenziato che la norma statutaria non appare sostenibile di abrogazione implicita ma, piuttosto, viene rimarcata la distinzione tra gli accertamenti disposti ai sensi dell’art. 5 Stat. lav., lasciati alla discrezionalità del datore di lavoro, e quelli conformi all’art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008, da intendersi come limitati alla verifica dell’idoneità del lavoratore, esposto a rischi che comportino la sorveglianza sanitaria obbligatoria, e dell’adeguatezza delle misure di prevenzione adottate.
NOTA: Quest’ultimo riferimento è cioè solo alle visite riconducibili al controllo sanitario obbligatorio effettuato dal medico competente nei casi previsti dalla legge al fine della tutela della salute del lavoratore. In tali circostanze al controllo da parte dei dipartimenti di prevenzione delle ASL si affianca quello esercitabile dal medico competente.
In definitiva, è chiara ed evidente dalla lettura formulata dalla giurisprudenza, che l’oggetto della tutela dell’art. 5 Stat. lav. è la “libertà e dignità” del lavoratore, così da “impedire che gli imprenditori possano ricorrere ad accertamenti sanitari diretti, per mezzo di medici di loro fiducia, a soddisfare interessi estranei alla verifica dell’idoneità fisica dei lavoratori”.
Dalle brevi osservazioni formulate ci si chiede ora quali siano le regole introdotte sull’argomento negli altri contesti esaminati.
A differenza dalla recente disciplina propria dell’ordinamento italiano, nella menzionata Ley de Prevención de Riesgos Laborales gli accertamenti medici sono in generale previsti successivamente alla instaurazione del rapporto di lavoro, all’assegnazione di mansioni comportanti nuovi rischi per la salute, al ritorno al lavorodopo una prolungata assenza per motivi di salute ed, infine, periodicamente.
Disposizioni specifiche sono, tuttavia, dettate con riferimento a lavori che espongano a rischio di malattie professionali nella Ley General de la Seguridad Social (LGSS), come novellata ed integrata dal real decreto legislativo 8/2015, de 30 de octubre; ai sensi dell’articolo 243 LGSS è stabilito l’obbligo a carico del datore di lavoro di effettuare controlli medici preassuntivi, nonché periodici.
Rispetto all’art. 22 LPRL in esame, l’art. 243 LGSS riveste particolare importanza, imponendo il carattere obbligatorio e non più volontario dell’assoggettamento a tali accertamenti da parte dei lavoratori.
Le modifiche attuate con la Loi n. 2016-1088
Ripartendo dall’ordinamento francese, che recentemente ha emanato la loi n. 2016-1088, volta a “modernizzare la medicina del lavoro” e che ha apportato significative modifiche in ordine agli accertamenti sanitari in fase preassuntiva, dobbiamo brevemente soffermarci sull’evoluzione normativa che parte dalla novella legislativa dell’art. R4624-10, in cui il lavoratore beneficiava di una visita sanitaria ad opera del medico del lavoro precedente l’assunzione o al più tardi precedente la fine del periodo di prova. L’“examen médical avant l’embauche” aveva lo scopo di assicurare l’idoneità alla mansione del lavoratore a cui il datore di lavoro intendeva assegnarlo, come pure di indicare eventuali adattamenti o anche l’assegnazione ad altre mansioni, di informare il lavoratore sui rischi legati all’ambiente di lavoro, di renderlo edotto sulle misure di prevenzione da attuare. Facevano seguito esami periodici, a cadenza di almeno ogni 24 mesi, diretti a verificare il mantenimento dell’idoneità.
Con la riforma e la nuova formulazione del Code du travail, i lavoratori, non essendo soggetti a rischi particolari, possono essere sottoposti all‘examen d’embauche, che rappresenta una visite d’information et de prévention, ossia un controllo successivo all’assunzione che viene svolto non necessariamente dal medico del lavoro ma, “sotto la sua autorità”, anche dai suoi collaboratori in un periodo che non supera 3 mesi dal momento dell’effettiva assunzione (artt. L4624-1 e R4624-10).
In definitiva, si tratta di una visite d’information et de prévention individuale con la finalità di analizzare lo stato di salute dei lavoratori, di informarli sui rischi legati alla loro mansione e sulle misure di prevenzione da adottare, di verificare ancora se, rispetto ai rischi ai quali sono esposti, sia necessario indirizzarli al medico del lavoro, di informarli sulle modalità del controllo del loro stato di salute e sulla eventualità di poter fruire in ogni momento di una visita a richiesta. Questa è, sostanzialmente, una visita iniziale che possiamo definire prevalentemente informativa e che può essere effettuata anche da un professionnel de santé, diverso dal medico del lavoro incaricato, che deve essere documentata da un attestato, diversamente dalla precedente disciplina del 2016, e da un giudizio di idoneità.
Successivamente può susseguirsi una nuova visita, esclusivamente da parte del medico del lavoro, avente lo scopo di proporre eventuali adeguamenti o l’assegnazione a diverse mansioni.
Il testo normativo contempla inoltre il rinnovo della visita d’informazione e prevenzione iniziale, sempre da parte di un professionnel de santé, che dovrà avere una periodicità di massimo 5 anni, scelta in relazione alle condizioni di lavoro, all’età e allo stato di salute del lavoratore nonché ai rischi a cui è esposto (art. R4624-16).
NOTA: Al riguardo non sono mancate alcune critiche sollevate dalla dottrina francese, che già a commento del progetto di legge, nella versione adottata il 19 maggio 2016 dall’Assemblée nationale, aveva considerato “non soddisfacente” la soppressione della visita medica d’assunzione eseguita dal medico del lavoro e la sua sostituzione con un “semplice esame infermieristico”; come chiarito, non è sembrato opportuno negare “l’interesse di una vera visita medica di assunzione destinata a verificare l’idoneità del lavoratore”.
Questa lettura deve, tuttavia, tenere conto anche del “rafforzamento” degli accertamenti sanitari per i lavoratori esposti a rischi particolari, per i quali è previsto un controllo individuale “renforcé” da parte del medico del lavoro in fase preassuntiva. Controllo volto a verificare la compatibilità della mansione con lo stato di salute del lavoratore, cui segue un giudizio di idoneità o non idoneità e che si sostituisce alla visita di informazione e prevenzione (cfr. art. R4624-24).
In conclusione si deve sottolineare che il medoco del lavoro svolge la sua attività in piena indipendenza, i cui compiti, infatti, come precisato nel Code du travail, sono esercitati appunto “en toute indépendance” (art. L4622-4). Al riguardo, la circulaire DRT du 7 avril 2005 ha chiarito che il fine di questa indipendenza è di “mettere il medico del lavoro al riparo da ogni pressione”, al fine di “preservare il suo operato nell’interesse esclusivo della salute e della sicurezza dei lavoratori”.
Va aggiunto che la nomina del medico può avvenire solo “con l’accordo del Comité d’entreprise”, (a differenza della normativa italiana) e dunque con l’accordo degli stessi lavoratori rappresentati nel Comité, ed esattamente attraverso una votazione a maggioranza e a scrutinio segreto.
In mancanza di tale accordo, la nomina del medico è pronunciata su autorizzazione dell’ispettore del lavoro (art. R4623-8).
NOTA: Sostanzialmente, si tratta di una decisione condivisa, a differenza della nomina del Medico Competente affidata, ex art. 18, co. 1, lett. a), e art. 50, co. 1, lett. c), D.Lgs. n. 81/2008, al solo datore di lavoro, seppur previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (R.L.S.).
Per quanto concerne il rapporto giuridico tra il datore di lavoro e il médecin du travail, questo è legato da un contratto di lavoro nelle condizioni previste dal codice di deontologia medica (art. R4623-4) e beneficia di una protezione definita “eccezionale ed esorbitante dal diritto comune”. Tale protezione si applica in primis al licenziamento, che non può essere intimato se non con l’autorizzazione dell’ispettore del lavoro (artt. L4623-5 ss. e R4623-20).
NOTA: Questa è una soluzione prettamente “garantista” rispetto alla normativa italiana, diretta, evidentemente, ad assicurare la “credibilità” di un’importante figura nella gestione della sicurezza.
L’inidoneità sopravvenuta del lavoratore
Una ulteriore questione non meno importante delle precedenti, concerne le conseguenze dell’eventuale giudizio di “inidoneità alla mansione specifica” che il Medico Competente emette nei confronti del lavoratore durante lo svolgimento della sorveglianza sanitaria.
L’art. 42 del D.Lgs. n. 81/2008, prevede espliciti provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione, in seguito al giudizio espresso dal Medico Competente (M.C.), consentendo “ove possibile” lo ius variandi, anche in peius, da parte del datore di lavoro, con la garanzia del trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza. Il “baricentro della tutela” è nella Legge n. 68/1999, richiamata nel citato art. 42 del D.Lgs. n. 81/2008.
Nel caso in cui il lavoratore non possa essere ricollocato all’interno dell’azienda è ipotizzabile un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, vige in capo al datore di lavoro l’obbligo di dimostrare di non poter adibire il lavoratore ad altre e diverse mansioni ovvero di valutare la possibilità di evitare l’estinzione del rapporto lavorativo attraverso l’adibizione a mansioni vacanti e compatibili con lo stato di salute del prestatore di lavoro. Questa discussa regola del repêchage, apre per i lavoratori maggiori “spazi di tutela” nel rispetto della esigenza di “ragionevolezza o di razionalità contrattuale”.
Dunque, oltre all’obbligo di salvaguardia della salute nell’ambiente di lavoro, il dovere del datore di lavoro ha un’ulteriore obbligo da assolvere ovvero quello di adibire il lavoratore, divenuto inidoneo, ad altre mansioni compatibili con la sua capacità lavorativa, ove l’organizzazione aziendale lo consenta.
NOTA: Il profilo più delicato rimane, perciò, quello dei limiti entro i quali il datore di lavoro è tenuto ad intervenire sull’assetto organizzativo dell’azienda, apportando le opportune modifiche a garanzia dell’interesse del prestatore di lavoro alla prosecuzione del rapporto.
A differenza degli altri ordinamenti, in quello spagnolo non vi è una specifica disciplina che regolamenti le conseguenze dei giudizi emessi dal personale medico competente per la sorveglianza sanitaria.
La Ley de Prevención de Riesgos Laborales prevede, genericamente, all’art. 23 che il datore di lavoro è tenuto a conservare la documentazione (il tipo di controllo effettuato, i lavoratori coinvolti, la metodologia e le tecniche utilizzate e i risultati) fornita dal medico in relazione ai controlli dello stato di salute dei lavoratori e ai risultati conseguenti alle indagini effettuate sull’idoneità all’impiego o sulla necessità di introdurre o migliorare misure di protezione e prevenzione, di cui all’art. 22.
Le conclusioni dell’eventuale giudizio di inidoneità, formulato dal personale sanitario, possono essere ricavate dall’art. 25, LPRL, ai sensi del quale il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la protezione dei lavoratori che, in base alle proprie caratteristiche personali, siano particolarmente sensibili ai rischi derivanti dal lavoro; a tal fine deve tenerne conto nella valutazione dei rischi ed adottare le misure preventive necessarie. Inoltre, è espressamente previsto che “i lavoratori non saranno occupati in quei posti di lavoro nei quali, a causa delle proprie caratteristiche personali, sono esposti a situazioni di rischio”.
Nodo cruciale è rappresentato dal principio generale, racchiuso nella direttiva-quadro 89/391/CEE e recepito nella Ley de Prevención de Riesgos Laborales all’art. 15, co. 1, lett. d), di “adeguare il lavoro all’uomo”, con particolare riferimento alla “concezione dei posti di lavoro” e alla “scelta delle attrezzature e dei metodi di lavoro e della produzione”.
Anche se indirettamente, si può, comunque, ricavare da quanto appena richiamato, l’obbligo datoriale, che invece è espressamente imposto nel D.Lgs. n. 81/2008, di spostare il lavoratore ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute. In mancanza di tale possibilità di ricollocamento del lavoratore divenuto di conseguenza inidoneo, il datore di lavoro potrà, altresì, ricorrere al licenziamento por causas objetivas ed esattamente por ineptitud del trabajador sobrevenida, regolato dall’art. 52, lett. a), dell’Estatuto de los trabajadores.
NOTA: In definitiva, ove venga accertata la sopravvenuta mancanza di idoneità del lavoratore, residua in capo al datore di lavoro la possibilità di licenziamento per ragioni oggettive. Si tratta, tuttavia, di una problematica tuttora alquanto complessa e dibattuta, su cui dottrina e giurisprudenza sono intervenute con soluzioni in parte affini nei contesti nazionali considerati.
La riforma del droit de l’inaptitude
L’inidoneità sopravvenuta fisica o mentale del lavoratore conseguente ad una malattia professionale o ad un infortunio sul lavoro è regolata nel Code du travail (artt. L1226-10 e L1226-12).
Quanto detto in precedenza ha riguardato le modalità più appropriate di intervento sulla disciplina dell’inaptitude; più precisamente abbiamo posto l’attenzione sulla dottrina che era divisa in ordine alla possibilità di riscriverla o di rafforzarla. La tendenza maggioritaria era quella di accogliere l’indirizzo giurisprudenziale volto ad assicurare la protezione della salute dei lavoratori ed insieme il mantenimento dell’impiego.
La problematica, sostanzialmente, ruota intorno alle funzioni del medico del lavoro, che è definito un homme-orchestre, in quanto coordina e dirige il dialogo e lo scambio di strategie con gli altri attori della sicurezza, fra cui in primis il datore di lavoro, come pure il Comité d’hygiène, de sécurité et des conditions de travail o i délégués du personnel.
L’art. L1226-10, ove il lavoratore sia dichiarato dal medico del lavoro inidoneo a svolgere le proprie mansioni, concede al datore di lavoro la facoltà di propone un altro impiego appropriato alle sue capacità. Questa proposta, congiuntamente al parere dei délégués du personnel, prende in considerazione le conclusioni scritte e le indicazioni formulate dal medico in ordine alle capacità del lavoratore di ricoprire un incarico esistente nell’impresa “quanto più possibile equiparabile al precedente impiego”, in base agli adeguamenti o alle trasformazioni di posizioni esistenti o alla organizzazione del tempo di lavoro.
Con le modifiche apportate dalla loi n. 2016-1088, sono state esplicitamente precisate le ipotesi in cui il rapporto di lavoro può cessare per iniziativa del datore di lavoro, ovvero l’impossibilità di offrire un’altra occupazione alle condizioni previste all’art. L1226-10, la rinuncia della proposta da parte del lavoratore, e inoltre l’indicazione comunicata nel parere del medico che il mantenimento della mansione è gravemente pregiudizievole per la salute del lavoratore o che lo stato di salute dello stesso impedisce ogni sua ricollocazione (art. L1226-12). La nuova formulazione dell’articolo, che conferisce al medico il potere di pronunciare il proprio parere in merito all’impossibilità di ricollocare il lavoratore a causa del suo stato di salute, è stata molto criticata dalla dottrina che si è pronunciata fin da subito sul contenuto della riforma, in quanto si passerebbe dall’obiettivo del “mantenimento al lavoro” e della “protezione del lavoratore divenuto inidoneo al lavoro” ad un sistema potenzialmente lesivo dei suoi diritti.
NOTA: Alla luce delle nuove disposizioni del Code du travail (art. L122612) il medico, quando dichiari il lavoratore inidoneo rispetto alle mansioni ricoperte, può ugualmente considerarlo inidoneo ad ogni impiego nell’impresa e la preoccupazione è che “la risoluzione del contratto di lavoro possa essere contemplata per un motivo esclusivamente medico”, senza considerare gli aspetti professionali ed organizzativi.