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Mobbing: brevi considerazioni

Definizione

Il “mobbing” è un termine generalmente utilizzato per descrivere una serie di comportamenti vessatori, intimidatori o molesti che un individuo o un gruppo di individui subisce sul luogo di lavoro. In Italia, il mobbing è conosciuto legalmente come “molestia psicologica sul lavoro” ed è considerato una forma di violenza morale. La normativa di riferimento in Italia per il mobbing è principalmente l’articolo 2087 del Codice Civile italiano e il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro).

Il mobbing è una serie di atti persecutori o molesti, compiuti in modo sistematico e ripetuto nel tempo, che mirano a danneggiare la dignità, l’integrità psicofisica o la reputazione di una persona sul luogo di lavoro.

Esempi di comportamenti di mobbing:

  • Insulti o offese verbali ricorrenti da parte di colleghi o superiori.
  • Isolamento sociale deliberato, come escludere deliberatamente una persona da riunioni o attività di gruppo.
  • Mancata assegnazione di mansioni o compiti, oppure sovraccarico di lavoro ingiustificato.
  • Diffamazione, diffusione di voci false o calunnie sulla persona.
  • Sabotaggio deliberato del lavoro di un individuo, ad esempio nascondendo o distruggendo documenti.
  • Minacce fisiche o psicologiche dirette o indirette.

La principale normativa di riferimento in Italia per il mobbing è l’articolo 2087 del Codice Civile, che sancisce il dovere del Datore di Lavoro di garantire il rispetto della dignità dei lavoratori e di prevenire qualsiasi comportamento che possa arrecare pregiudizio alla loro integrità fisica o morale. Inoltre, il D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro) all’art. 6 obbliga il Datore di Lavoro ad adottare misure per la prevenzione del mobbing e per la tutela della salute mentale dei lavoratori.

MOBBING VERTICALE

Il “mobbing verticale” è una forma di molestia o bullismo sul posto di lavoro che coinvolge un superiore gerarchico che prende di mira un dipendente o un subordinato. In questa situazione, il comportamento molesto o aggressivo proviene dall’alto verso il basso nella struttura organizzativa dell’azienda.
La traduzione in inglese di “mobbing verticale” è “vertical mobbing.” Tuttavia, è importante notare che in inglese si fa spesso riferimento a questa situazione utilizzando il termine “vertical bullying” o “upward bullying” per enfatizzare che il comportamento negativo proviene da un superiore gerarchico.

MOBBING ORIZZONTALE

Il termine “mobbing orizzontale” si riferisce invece a una forma di molestia sul luogo di lavoro in cui un individuo o un gruppo di individui rivolgono a un collega sullo stesso livello gerarchico o posizione lavorativa per scopi di aggressione, intimidazione o ostracismo. In altre parole, il mobbing orizzontale si verifica quando i colleghi sullo stesso piano gerarchico prendono di mira un altro collega attraverso comportamenti negativi e dannosi.

Questi comportamenti possono includere insulti, derisione, diffamazione, esclusione sociale, sabotaggio delle attività lavorative o qualsiasi altra azione finalizzata a danneggiare la reputazione, la salute mentale o il benessere generale del collega bersaglio. Il mobbing orizzontale può avere effetti devastanti sulla vittima, causando stress, ansia, depressione e altri problemi di salute mentale.

È importante affrontare tempestivamente e adeguatamente il mobbing orizzontale sul posto di lavoro per creare un ambiente di lavoro sano e collaborativo. Le politiche aziendali, la formazione sulla sensibilizzazione e le procedure di segnalazione sono alcune delle misure che possono essere implementate per prevenire e affrontare il mobbing orizzontale sul luogo di lavoro.

In caso di mobbing, la vittima può intraprendere azioni legali contro il Datore di Lavoro o i responsabili dei comportamenti molesti. È possibile rivolgersi a un avvocato o a un consulente del lavoro per valutare le opzioni disponibili e cercare una soluzione in conformità con la legge. Inoltre, esistono procedure di conciliazione e strumenti di tutela dei diritti dei lavoratori previsti dalla normativa italiana che possono essere utilizzati per affrontare casi di mobbing sul posto di lavoro.

Il Mobbing e i Reati contravvenzionali

Poi la Relazione del Massimario richiama, riguardo al mobbing, il «contenuto ampio e generale della “valutazione dei rischi” cui obbligatoriamente, e con compito e responsabilità non delegabile, è chiamato il datore di lavoro (che deve effettuare una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività)».

«Se la maggiore attenzione è stata dedicata finora ai fattori connessi a ripetitività, monotonia, carichi di lavoro, ritmi e così via, appare oggi indispensabile considerare alcuni ulteriori aspetti  relativamente) nuovi, nel senso che sono frutto di più recente acquisizione. Faccio riferimento a tutti i fenomeni che attengono agli aspetti relazionali (relazioni fra i lavoratori e fra loro e i superiori), al rapporto persona-ambiente di lavoro-tecniche di lavorazione, a tutte le questioni attinenti al disagio, alla disaffezione, alla insoddisfazione, al malessere e a quel grande complesso di fenomeni riconducibili, in modo semplificativo, allo stress. Ovviamente, non è che tutti questi fenomeni conducano necessariamente a vere e proprie patologie, perché anzi esse dovranno essere dimostrate e provate di volta in volta, come indicato dalla Corte Costituzionale; ma è pacifico che si tratta di altrettanti fattori di rischio, finora considerati poco o comunque in modo insufficiente. In tale ambito, anche le cosiddette «incongruenze del processo organizzativo» costituiscono certamente aspetti di novità nel contesto dell’organizzazione del lavoro come fattori di rischio.» (Carlo Smuraglia, “Le malattie da lavoro, Prevenzione e tutela,” 2008)

La dottrina

Con “l’inserimento, sia pure a titolo di esemplificazione, del termine “stress lavoro correlato”, in luogo della locuzione “rischi psicologici” (categoria entro la quale lo stress sarebbe comunque stato ricompreso, assieme ad altre fattispecie di rischio), si è inteso evidentemente assegnare al primo una valenza, in qualche modo, assorbente dei rischi c.d. “psicologici o psicosociali”.

Il contenuto nella previsione di cui all’art. 28 sarebbe solo esemplificativo, essendo astrattamente possibile individuare, al di là delle fattispecie tipizzate, altre situazioni di esposizione a rischi particolari che possono riguardare gruppi di lavoratori (es. le problematiche che possono riguardare lavoratori disabili).

Ciò che, invece, ritengo sia difficilmente contestabile è la valenza “esclusiva” ed “assorbente” che, oggi, la species “stress lavoro-correlato” assume […] rispetto al genus rischi “psicosociali” o “psicologici”.”

«Più che mai pressante diventa a questo punto una ulteriore precisazione. Nell’art.28, comma 1, D.Lgs.81/2008, l’indicazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato non è esaustiva. Se ne trae palese conferma dalle espressioni usate nell’art.28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008: “ivi compresi”, “tra cui”, “anche”. Pertanto, non sarebbe corretto desumere dall’art. 28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008 che lo stress lavoro correlato costituisca l’unico rischio di natura psicosociale da valutare nel relativo documento.» (Raffaele Guariniello, “Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza”, Quinta Ediz., 2013, p.338)

«Altri rischi di tal natura debbono essere presi in considerazione dal datore di lavoro: dal mobbing al burn-out e allo stalking, dalla violenza alle molestie (significativo a quest’ultimo riguardo appare l’accordo quadro europeo sulle molestie e sulla violenza sul luogo di lavoro del 26 aprile 2007.) Né appare sostenibile che “con l’inserimento del termine ‘stress lavoro-correlato’ in luogo della locuzione ‘rischi psicologici’ si sarebbe inteso assegnare al primo una valenza assorbente dei rischi psicologici o psicosociali.” Una tesi di tal fatta risulta smentita dal nitido tenore letterale dell’art. 28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008. E per giunta contrasta con un inequivoco dato normativo.» (Raffaele Guariniello, op. cit., p.338)

«Leggiamo, infatti, l’art.32, comma 2, secondo periodo, D.Lgs.n.81/2008: “Per lo svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione, oltre ai requisiti di cui al  precedente periodo, è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato di cui all’articolo 28, comma 1, di organizzazione e gestione delle attività tecnico amministrative e di tecniche di comunicazione in azienda e di relazioni sindacali.”» (Raffaele Guariniello, op. cit., p.338)

«Dove il D.Lgs.n.81/2008 non impiega l’ampia espressione “psico-sociale” presente invece nella corrispondente disposizione dettata dall’abrogato D.Lgs.n.626/1994 all’art.8-bis, comma 4, bensì la più restrittiva espressione “da stress lavoro correlato”. E tuttavia, si badi, anche questo riferimento specifico allo stress lavoro-correlato non vale a sbarrare la strada  all’esigenza di tener conto degli ulteriori rischi psico-sociali in sede di formazione dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione dai rischi così come in sede di valutazione dei rischi e di attuazione delle misure di prevenzione.» (Raffaele Guariniello, op. cit., p.338)

«Determinante è in questo senso lo stesso art. 32, comma 2, terzo periodo, D.Lgs.n.81/2008: “I corsi di cui ai periodi precedenti devono rispettare in ogni caso quanto previsto dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, n. 37, del 14 febbraio 2006, e successive modificazioni.” Ora, tale accordo Stato-Regioni contempla tre moduli e, in particolare, il modulo C […]. Il modulo C2 è dedicato anche e proprio ai “rischi di natura psico-sociale in via generale, ed eloquentemente indica come argomenti “elementi di comprensione… (Raffaele Guariniello, op. cit., pp.338-339) e differenziazione fra stress, mobbing e burn-out”, “conseguenze lavorative dei rischi da tali fenomeni sulla efficienza organizzativa, sul comportamento di sicurezza del lavoratore e sul suo stato di salute”, “strumenti, metodi e misure di prevenzione”.

Agevole è dedurne che, nello stesso ambito relativo alla formazione dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, lo stress lavoro correlato non esaurisce la gamma dei rischi psicosociali da prendere in considerazione.

L’analisi or ora svolta autorizza a concludere che la regolamentazione speciale dettata dall’art.28, comma 1-bis, D.Lgs.n.81/2008 trova applicazione con esclusivo riguardo al rischio stress lavoro-correlato … (Raffaele Guariniello, op. cit., p.339) … e che, per contro, la valutazione dei rischi psicosociali diversi dallo stress lavoro-correlato rimane sottoposta alla disciplina generale contenuta nell’art. 28, comma 1, D.Lgs.n.81/2008.

Pertanto, l’obbligo di valutare i rischi psico-sociali diversi dallo stress lavoro-correlato è insorto alla data di entrata in vigore del D.Lgs.n.81/2008 (ma a ben vedere già sotto il regime del  D.Lgs.626/1994, perlomeno a far tempo dalla modifica dell’art. 4, comma 1, di tale decreto ad opera dell’art.21, comma 2, L. 1° marzo 2002 n. 39.)» (Raffaele Guariniello, “Il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza”, Quinta Ediz., 2013, p. 339).

“Il legislatore […] ha affermato in modo inequivocabile che la valutazione deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, con la specificazione che la stessa deve comprendere, appunto, quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato. Tuttavia, una parte della dottrina sostiene che, per effetto di questa specificazione operata dal legislatore, il datore di lavoro sia tenuto a valutare unicamente i rischi da stress lavoro-correlato; pertanto, ha concluso per l’esclusione del mobbing e della violenza sul lavoro.” (Mario Gallo, Prof. di Diritto del Lavoro, Indicazioni della Commissione: i dubbi e le criticità applicative sullo stress lavoro-correlato, in Ambiente & Sicurezza 22.3.2011 n. 5)

Con riferimento a tale dottrina, l’Autore cita in nota: “Nicola Magnavita, “Misurare il benessere e lo stress lavoro-correlato”, in “Lavoro umano. Il benessere nei luoghi di lavoro”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 2009.

Come ha osservato autorevolmente l’Autore è necessario distinguere lo strain da lavoro da quello extralavorativo e «l’art. 28 non fa riferimento ai rischi psicosociali, ma al ben diverso fenomeno dello stress lavoro-correlato: i contorni di questo tipo di rischio sono stati definiti nel citato Accordo europeo dell’8 ottobre 2004. A differenza di quanto un po’ superficialmente viene indicato, oggetto di valutazione, quindi, non sono né i rischi psicosociali in generale, né il mobbing, né la violenza sul lavoro, né il disturbo post traumatico da stress».”

Secondo Gallo, “questo orientamento non convince in quanto, da un’interpretazione logico-sistematica, è possibile rilevare che il datore di lavoro è tenuto a valutare tutti i rischi, quindi, anche tutti quelli che la comunità scientifica da tempo ormai fa rientrare nella più vasta categoria dei cosiddetti rischi psicosociali. In tal senso, «non sarebbe corretto desumere dall’art. 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 che lo stress lavoro-correlato costituisca l’unico rischio di natura psico-sociale da valutare nel relativo documento […]» (Cit. Raffaele Guariniello, Rischi psicosociali e stress lavoro-correlato, in Diritto e Pratica del Lavoro, n. 2/2011, pag. 81.)” (Mario Gallo, op. cit., 2011)

“Non sarebbe certamente accettabile il comportamento del datore di lavoro che considerasse lo stress lavoro-correlato (se inteso come semplice species di rischio psico-sociale) come l’unico fattore di rischio psico-sociale da valutare: al contrario, il datore deve prendere in considerazione anche tutti gli altri rischi della stessa natura, dall’osteggiatissimo mobbing, passando per le violenze, fino ad arrivare alle molestie; e ciò, non soltanto quando tali rischi siano effettivamente presenti nel contesto aziendale da considerare, ma anche quando potrebbero potenzialmente presentarsi in ragione del modo in cui è stata strutturata l’organizzazione del lavoro […].” (Luciano Angelini, op. cit., Olympus, p.83)

Considerazioni sull’art. 28, D.Lgs. 81/08

L’articolo 28 del Dlgs 81/08 – TU sicurezza nei luoghi di lavoro – stabilisce che il documento di valutazione rischi “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”. In tale valutazione, anche se è una rilevante fonte di stress lavoro-correlato, non viene considerato il mobbing (violenza psicologica sul luogo di lavoro, adottata con continuità e sistematicità dal datore di lavoro e dai colleghi con l’intento di emarginare la “vittima”), che ricade nell’ambito del Codice civile: l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) dispone che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Né il Testo Unico né l’accordo quadro europeo richiamato nella suddetta disposizione citano espressamente il mobbing, il che ci fa interrogare se il medesimo possa (debba) ritenersi compreso tra i  rischi oggetto dell’obbligo di valutazione.

Un’attenta lettura del dato testuale suggerisce una risposta affermativa, laddove la valutazione è estesa a tutti i rischi, risultando quelli collegati allo stress lavoro-correlato indicati in maniera meramente esemplificativa.  L’interpretazione letterale è sicuramente conforme al dettato dell’art. 2087 c.c., norma sistematica a clausola aperta rispetto all’obbligo di sicurezza del datore di lavoro, che obbliga l’imprenditore “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

L’inclusione del mobbing tra i rischi psicosociali-lavorativi e la sua rilevanza già nella dimensione preventiva della tutela, trova ulteriore conferma nelle indicazioni della Commissione consultiva permanente del novembre 2010, ai sensi dell’art. 28 comma 2 D. lgs. 81/2008, recepite dalla circolare del Ministero del Lavoro del 18 novembre 2010, che include, tra i fattori di contesto del lavoro da valutare, i conflitti interpersonali, così individuando nel mobbing un potenziale indicatore dello stress lavoro-correlato e come tale un elemento da valutare.

Anche il manuale operativo INAIL del maggio 2011, infine, prevede che “il lavoratore non si percepisca oggetto di comportamenti inaccettabili” e tra gli indicatori di check list relativi al contesto del lavoro inserisce la voce “identificazione di un referente per l’ascolto e la gestione dei casi di disagio lavorativo”.

Una valutazione dei rischi estesa anche al mobbing non è priva di risvolti pratici.

Il rilascio delle certificazioni di qualità è subordinato al rispetto dei parametri fissati nel citato manuale INAIL, e la stessa giurisprudenza collega il mobbing all’obbligo di valutazione dei rischi, laddove, investita di questioni concernenti l’accertamento di fatti mobbizzanti, condanna il datore di lavoro che non dimostri di avere adottato misure idonee a prevenire il mobbing, limitandosi all’adozione di misure repressive, affermando che “la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale e lo stesso non assolve l’onere della prova liberatoria posta a suo carico se invece di dimostrare di aver adottato misure idonee a prevenire il dedotto evento dannoso si limita a dedurreiniziative volte alla repressione e non già alla prevenzione di comportamenti di tipo vessatorio” (Cass. civ. sez. lavoro 25 maggio 2006 n. 12445).

In conclusione, la sussistenza di misure idonee a prevenire fenomeni di mobbing nel documento di valutazione dei rischi – unitamente, beninteso, alla prova della concreta attuazione di tali misure all’interno dell’azienda,  non trattandosi di un adempimento meramente burocratico – consente all’azienda di ottenere la certificazione di qualità e può costituire elemento decisivo per dimostrare in giudizio l’assolvimento dell’obbligo di sicurezza.

Pertanto, anche se il fenomeno mobbing è in espansione nei luoghi di lavoro, non è possibile un’equiparazione con lo stress lavoro-correlato, inquadrato in modo più puntuale con definizioni e ambiti precisi. Infatti il lavoratore mobbizzato ha la tutela della personalità morale, sotto l’egida del Codice civile. Anche la distinzione tra mobbing e molestie sessuali non ha ancora trovato chiarezza. È frequente che le molestie sessuali vengano fatte ricadere nelle situazioni di mobbing quando sussista il requisito di sistematicità.

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