Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.)
Definizioni
L’art. 31, del D.Lgs. 81/2008, prevede “1. Salvo quanto previsto dall’art. 34, il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione all’interno della azienda o della unità produttiva, o incarica persone o servizi esterni costituiti anche presso le associazioni dei datori di lavoro o gli organismi paritetici, secondo le regole di cui al presente art..
Gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni, di cui al co. 1, devono possedere le capacità e i requisiti professionali di cui all’art. 32, devono essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell’espletamento del proprio incarico.
Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio. Il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 32. Ove il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia.
L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
a) nelle aziende industriali di cui all’art. 2 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.
Nelle ipotesi di cui al co. 6 il responsabile del servizio di prevenzione e protezione deve essere interno.
Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile”.
I professionisti della sicurezza
Il D.Lgs. in parola, stabilendo con chiarezza i requisiti e le capacità professionali richiesti al R.S.P.P. ed al A.S.P.P., conferma l’opinione secondo la quale questi sono i “professionisti della sicurezza” interni (o esterni) all’azienda. È interessante analizzare questa definizione di “professionisti della sicurezza”. Fondamentalmente, significa, come abbiamo precedente detto, che il datore di lavoro dovrà scegliere, internamente o esternamente all’azienda, delle persone che meritino il massimo della fiducia, poiché l’attività del R.S.P.P. (e del A.S.P.P.) ricade nella propria sfera di responsabilità. È anche evidente che deve instaurarsi un clima di piena fiducia e immediata “cooperazione” fra il datore di lavoro ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Ebbene, è da notare che qualora il datore di lavoro “utilizzi” un R.S.P.P. non rispondente ai requisiti di legge (cioè non “professionalmente adeguato” rispetto a tutti i rischi presenti in azienda), egli non avrà adempiuto al dettato normativo del D.Lgs. n. 81/2008 e dovrà rispondere degli eventuali infortuni occorsi ai lavoratori a titolo di colpa cosiddetta in eligendo.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione dell’art. 31, co. 6, del D.Lgs. n. 81/2008.
In particolare ci si chiede “[…] se in caso di servizio di prevenzione e protezione istituito necessariamente all’interno dell’azienda – nei casi di cui all’art. 31, co. 6, del d.lgs. n. 81/2008 – il Responsabile del servizio debba essere necessariamente un dipendente del datore di lavoro o possa essere anche un professionista in possesso dei requisiti di legge”.
La modifica introdotta dal D.L. n. 69/2013, convertito in Legge n. 98/2013, pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di organizzare il SPP prioritariamente all’interno.
Appare evidente che il legislatore abbia voluto sottrarre al datore di lavoro la facoltà di optare liberamente fra servizi esterni ed interni favorendo la scelta di quest’ultimo. A norma poi del co. 4 del suddetto articolo “Il ricorso a persone o servizi esterni è obbligatorio in assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 32”. Il legislatore nel disciplinare l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione ha previsto nell’art. 31, co. 6, che: “L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
a) nelle aziende industriali di cui all’art. 2 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.
Tale previsione è ovviamente motivata dalla necessità di assicurare una presenza costante e continuativa del servizio prevenzione all’interno dell’azienda. Ciò premesso si ritiene che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) si considera interno quando – a prescindere dalla tipologia contrattuale che lega tale soggetto al datore di lavoro, in linea con il dettato dell’art. 2, co. 1, lett. a) del D.Lgs. n. 81/2008 – egli sia incardinato nell’ambito dell’organizzazione aziendale e coordini un servizio di prevenzione e protezione interno, istituito in relazione alle dimensioni ed alle specificità dell’azienda.
Pertanto, sarà cura del datore di lavoro rendere compatibili le diverse tipologie dei rapporti di lavoro e la durata della prestazione di lavoro con le esigenze che il RSPP deve tenere presenti per portare a termine pienamente i compiti che è chiamato a svolgere.
Il RSPP, proprio in virtù della peculiarità dei compiti da svolgere, deve necessariamente avere una conoscenza approfondita delle dinamiche organizzative e produttive dell’azienda, conoscenza che solo un soggetto inserito nell’organizzazione aziendale può possedere. In tale quadro, dunque, il termine “interno” non può intendersi equivalente alla definizione di “dipendente”, ma deve essere sostanzialmente riferito ad un lavoratore che assicuri una presenza adeguata per lo svolgimento della propria attività.
GIURISPUDENZA: In materia di infortuni sul lavoro, ai fini della configurabilità di una responsabilità del committente per “culpa in eligendo” nella verifica dell’idoneità tecnico – professionale dell’impresa affidataria di lavori, non è necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, essendo sufficiente che nella fase di progettazione dell’opera, intervengano accordi per una mera prestazione d’opera, atteso il carattere negoziale degli stessi. (Cassazione penale, sez. III, 06/12/2016, n. 10014).
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione dell’art. 31, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2008 laddove prevede che “il servizio di prevenzione e protezione sia dotato di mezzi adeguati per perseguire le finalità di cui al successivo art. 33”. In particolare si chiede di sapere se “nella definizione di mezzi adeguati è da intendersi un budget di spesa congruo al raggiungimento delle finalità previste.”
Al riguardo si osserva che, ai sensi dell’art. 2, lett. 1, del D.Lgs. n. 81/2008, il servizio di prevenzione e protezione è definito come “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori.
Le previsioni dell’art. 31, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2008 sono dirette ad assicurare che il Servizio di prevenzione e protezione disponga di tutto quanto necessario allo svolgimento dei compiti di cui all’art. 33, co. 1, avuto riguardo alla complessità aziendale e ai rischi presenti.
In relazione alle modalità per realizzare tali finalità, la scelta di assegnare un budget è rimessa alla discrezionalità dell’organizzazione aziendale.
Aziende con più unità produttive – Unico servizio di prevenzione e protezione
Ci si interroga in ordine alle questioni applicative poste dalla Circolare n. 1273 del 26/07/2010 dell’Assessorato Regionale alla salute della regione Sicilia, nonché in generale in ordine al modello organizzativo ottimale dei sistemi di prevenzione e protezione nell’ambito delle strutture del S.S.N. e del S.S.R.
Preliminarmente vanno esaminate le “questioni applicative poste dalla circolare regionale” e il campo di applicazione dell’art. 31, co. 8, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., che prevede: “Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile”.
L’istituzione e l’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione rientra, come è noto, tra gli obblighi del datore di lavoro, anche delegabili, mentre la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (R.S.P.P.) è un obbligo indelegabile del datore di lavoro così come previsto dall’art. 17, co. 1, lett. b).
Il legislatore nel disciplinare l’istituzione del servizio di prevenzione e protezione ha previsto nell’art. 31, co. 6, che: “L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
a) nelle aziende industriali di cui all’art. 2 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.”
Tale previsione è ovviamente motivata dalla necessità di assicurare una presenza costante e continuativa del servizio prevenzione all’interno dell’azienda e di dedicare adeguati spazi e strumenti, nonché personale aziendale, in relazione alle dimensioni ed alle specificità della struttura.
Il successivo co. 8 prevede poi che: “Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico servizio di prevenzione e protezione. I datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile”.
L’istituzione dell’unico servizio di prevenzione e protezione può avvenire “all’interno dell’azienda” o “dell’unità produttiva” e pertanto nei casi individuati nel co. 6, il servizio di prevenzione e protezione può essere istituito anche internamente all’azienda e non necessariamente internamente alla singola unità produttiva. Tale interpretazione è ulteriormente suffragata dal fatto che, in tutti i casi non ricompresi nel co. 6, è possibile istituire un unico servizio di prevenzione e protezione.
Resta inteso che il servizio di prevenzione e protezione dovrà essere adeguato per garantire l’effettività dello svolgimento dei compiti previsti dall’art. 33 per tutte le unità produttive. Pertanto il datore di lavoro, pur potendo rivolgersi alla struttura interna come sopra prefigurata, rimane l’unico soggetto titolare della scelta e della designazione del RSPP.
Formazione alla sicurezza
Solitamente le espressioni “attitudini e capacità adeguate” vengono sostituite con le parole “capacità e requisiti professionali” e questo è un primo errore poiché queste espressioni (attitudini e capacità adeguate) non sono sinonimi di professionalità, di competenza e di “formazione alla sicurezza”. Quest’ultima, in particolare, è il processo tendente a far crescere l’individuo attraverso un cambiamento che opera a tre livelli:
- primo livello – conoscere – è un processo di modifica della struttura conoscitiva delle nozioni possedute da ogni singolo individuo;
- secondo livello – capacità – consiste nell’attivazione, miglioramento e sviluppo delle capacità di agire dell’individuo;
- terzo livello – comportamenti – è il momento finale in cui si creano, nell’individuo, gli atteggiamenti favorevoli agli obiettivi del processo formativo.
Quindi, la formazione deve intervenire sulle variabili “individuo” e “gruppo”, per influenzare il comportamento organizzativo attraverso la modifica delle conoscenze e delle informazioni sui rischi dell’ambiente fisico e sociale (sapere); dell’esperienza e delle abilità nello svolgere le proprie mansioni in modo sicuro e nel rispondere in modo adeguato alle variazioni delle condizioni di rischio (saper fare); dei principi, dei valori e degli atteggiamenti nei confronti della sicurezza in modo da favorire il cambiamento dei comportamenti (saper essere).
Obblighi, compiti ed attività.
I compiti dell’R.S.P.P. previsti dall’art. 33, D.Lgs. 81/2008 sono:
a) individuazione dei fattori di rischio, valutazione dei rischi e individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
b) elaborazione, per quanto di competenza, delle misure preventive e protettive di cui all’art. 28, co. 2, e dei sistemi di controllo di tali misure;
c) elaborazione di procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) proposizione di programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e) partecipazione alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’art. 35;
f) fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 36.
I componenti del servizio di prevenzione e protezione sono tenuti altresì al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla corretta interpretazione del “combinato disposto degli artt. 31 e 36” del D.Lgs. n. 81/2008 con particolare riferimento alla necessità che l’informazione, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sia impartita in “forma prioritaria ed esclusiva” dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.).
Al riguardo occorre premettere che:
a) l’art. 2, co. 1, lett. bb), del D.Lgs. n. 81/2008, definisce l’informazione come il “complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro”;
b) l’art. 18, co. 1, lett. l), del D.Lgs. n. 81/2008, pone a carico del datore di lavoro e del dirigente l’obbligo di “adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37”;
c) l’art. 36 del D.Lgs. n. 81/2008 precisa i singoli casi in cui sia obbligatorio provvedere ad una “adeguata informazione” e specifica che sia il datore di lavoro a dovervi provvedere – pur se non come obbligo indelegabile, in considerazione di quanto previsto dall’art. 17 del citato decreto legislativo;
d) l’art. 33, co. 1, lett. f), del D.Lgs. n. 81/2008, elencando i “compiti” dell’intero Servizio di prevenzione e protezione dai rischi – e non quindi solamente quelli del suo Responsabile – specifica che vi sia anche quello di “fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 36”.
Sulla base di tali elementi si ritiene che rientra nella scelta del datore di lavoro decidere, caso per caso, a chi affidare l’onere di erogare l’adeguata informazione a ciascuno dei propri lavoratori.
Vero pure che il soggetto designato come R.S.P.P. ha sempre avuto poche possibilità di incidere realmente sui processi decisionali finalizzati ad una determinata attività; inoltre il servizio è molto spesso collocato funzionalmente in posizioni tali da non poter dialogare, ai giusti livelli, con le altre funzioni aziendali. Un esempio è dato dall’obbligo a “passare” attraverso uno o più “filtri gerarchici” che, avendo una visione particolarizzata dei problemi, tendono a percepirli ed a presentarli all’alta direzione in modo spesso distorto.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è dunque un soggetto parzialmente estraneo all’organizzazione aziendale, ma soprattutto privo di quei reali poteri di decisione e di intervento, necessari per esercitare le mansioni delegate.
Egli, è quindi un consulente che, però, si trova in un rapporto di dipendenza rispetto al datore di lavoro, il quale giuridicamente rimane nella originaria posizione di garanzia, sancita ex lege.
Questa figura organizzativa è, pertanto, sfornita di poteri ed obblighi valutativi finali ed elaborativi in relazione al documento di sintesi che contiene le misure di prevenzione e protezione, le quali rimangono di esclusiva attuazione del datore di lavoro.
Il che, tuttavia, non significa che tale ruolo sia privo di profili di responsabilità penale.
Se, infatti, il datore di lavoro assume determinate scelte sulla base delle indicazioni del R.S.P.P., quest’ultimo potrà essere chiamato a rispondere in sede penale dell’infortunio o di qualsiasi altro evento dannoso per il lavoratore, causato direttamente dall’attività (o da un omissione) imputabile al R.S.P.P., secondo gli schemi penalistici della colpa o del dolo.
GIURISPRUDENZA: Il datore di lavoro rimarrebbe, in buona sostanza – in ipotesi di infortunio con lesioni o morte del dipendente – l’obbligato principale ed addirittura l’unico, in assenza di altra persona che sia stata validamente munita di delega, mentre il responsabile del servizio di prevenzione e protezione verrebbe ad essere figura “…..che non si trova in posizione di garanzia e non risponde delle proprie negligenze, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro….”. (Cassazione penale, sez. VI, 8 febbraio 2008 n. 6277).
Per prevenire infortuni sul lavoro, è obbligo del datore di lavoro analizzare tutti i fattori di pericolo presenti nell’azienda per poi redigere ed aggiornare periodicamente il documento di valutazione dei rischi. (Cassazione penale, sez. III, 27/04/2018, n. 30173).
Ferma, quindi, la posizione di garanzia del datore di lavoro, il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione può, “…ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione…”.
Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di R.S.P.P.
Da quanto detto sino ad ora appare evidente che datore di lavoro e R.S.P.P. devono operare in stretta sinergia, poiché il rapporto che viene a crearsi fra di loro è di vitale importanza per poter costruire nell’azienda un’organizzazione capace di gestire e di prevenire gli infortuni sul luogo di lavoro. Il fatto che all’interno dell’impresa possano essere presenti numerose altre figure con compiti attinenti alla sicurezza (dirigenti, preposti, ecc.) non deve far venire meno l’immediatezza del dialogo e dell’interazione fra il vertice dell’azienda (che risponde in ultima istanza per ogni infortunio) e il servizio di prevenzione e protezione.
Nel Testo Unico è previsto altresì all’art. 34 che salvo che nei casi di cui all’art. 31, co. 6, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle ipotesi previste nell’all. 2 dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi.
Tuttavia la normativa di cui in parola precisa che il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al co. 1, deve frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 15 maggio 2009.
Il datore di lavoro che svolge i compiti di cui al co. 1 è altresì tenuto a frequentare corsi di aggiornamento. Tale obbligo si applica anche a coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’art. 3 del D.M. 16 gennaio 1997 e agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’art. 95 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626.
GIURISPRUDENZA: Viola il disposto dell’art. 55 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 non solo il datore di lavoro che non nomini il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, ma anche il datore di lavoro che a tal fine incarichi una persona inidonea, ossia non in possesso dei requisiti richiesti dagli art. 2 e 32 della medesima legge, giacché una nomina di tal genere deve essere considerata inefficace. (Cassazione penale, sez. III, 06/05/2014, n. 20682).
Nel caso in cui sia occorso un infortunio sul lavoro, va escluso il concorso di colpa del lavoratore che abbia posto in essere un comportamento che, ancorché imprudente, non risulti abnorme e del tutto eccentrico rispetto al complesso delle mansioni a lui specificamente assegnate. (Cassazione penale, sez. IV, 22/04/2016, n. 27060).
CASO PRATICO
Ci si interroga al fine di conoscere se, nel caso in cui, ai sensi dell’art 10 del D.Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoro svolga direttamente il compito di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi, debba possedere i requisiti e le capacità professionali previsti dall’art. 8-bis del D.Lgs. in oggetto e seguire i relativi corsi.
Preliminarmente si rammenta che il datore di lavoro organizza all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva il servizio di prevenzione e protezione con dipendenti appositamente designati tra cui il responsabile del servizio o, se le capacità dei dipendenti all’interno dell’azienda sono insufficienti, il datore di lavoro deve far ricorso a persone o servizi esterni all’azienda.
In entrambe le ipotesi i componenti del servizio in argomento devono essere in numero sufficiente rispetto alla dimensione e natura dell’azienda e possedere specifiche capacità e requisiti professionali adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative secondo quanto previsto dall’art. 8-bis. I responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione sono inoltre tenuti a frequentare corsi di aggiornamento con cadenza almeno quinquennale.
L’art. 8-bis, introdotto con il D.Lgs. 195/2003, ha ridefinito le capacità e i requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e, con il co. 7, ha fatto salvo quanto previsto dall’art. 10 D.Lgs. in oggetto.
Il suddetto art. 10 prevede che, qualora il datore di lavoro svolga personalmente i compiti del servizio di protezione e prevenzione dai rischi, deve darne preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e frequentare un corso di formazione in tema di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, che può anche essere promosso dalle associazioni dei datori di lavoro. Deve infine trasmettere all’organo di vigilanza competente per territorio:
a) una dichiarazione attestante la capacità di svolgimento di tali compiti;
b) una dichiarazione attestante l’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, commi 1, 2 e 3 (valutazione dei rischi, elaborazione del relativo documento e custodia dello stesso presso l’azienda ovvero l’unità produttiva) ovvero, nei casi previsti, l’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, commi 1 e 11 (autocertificazione per iscritto dell’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e adempimento degli obblighi ad essa collegati);
c) una relazione sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali della propria azienda elaborata in base ai dati degli ultimi tre anni;
d) l’attestazione di frequenza del corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.
In virtù di quanto sopra esposto e concordemente con la soluzione prospettata dall’interpellante, si deve concludere che non è richiesto al datore di lavoro il possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore né dell’attestato di frequenza al corso per RSPP previsto dall’art. 8-bis, ma solo l’attestazione di frequenza di un corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, organizzato nel rispetto di quanto previsto dall’art. 3 del D.M. 16 gennaio 1997.
SANZIONI PENALI: Sanzioni per il datore di lavoro
• Art. 34, co. 2: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro [Art. 55, co. 1 lett. b)].
Corsi di formazione per lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi ai sensi dell’ dell’art. 34, commi 2 e 3 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, e successive modifiche e integrazioni.
Premessa
L’Accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sui corsi di formazione per lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, disciplina, ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n. 81/08, e s.m.i., i contenuti e le articolazioni e le modalità di espletamento del percorso formativo e dell’aggiornamento per il Datore di Lavoro che intende svolgere, nei casi previsti dal decreto stesso, i compiti propri del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi (D.L.S.P.P.).
Il suddetto percorso formativo contempla corsi di formazione per D.L.S.P.P. di durata minima di 16 ore e una massima di 48 ore in funzione della natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro, delle modalità di organizzazione del lavoro e delle attività lavorative svolte.
Durata e contenuti dei corsi sono da considerarsi minimi. I soggetti formatori, d’intesa con il datore di lavoro, qualora lo ritengano opportuno, possono organizzare corsi di durata superiore e con ulteriori contenuti “specifici” ritenuti migliorativi dell’intero percorso.
Ai fini di un migliore adeguamento delle modalità di apprendimento e formazione all’evoluzione dell’esperienza e della tecnica e nell’ambito delle materie che non richiedano necessariamente la presenza fisica dei discenti e dei docenti, viene consentito l’impiego di piattaforme e-Learning per lo svolgimento del percorso formativo se ricorrono le condizioni di cui all’Allegato I del predetto Accordo.
NOTA: Il corso oggetto del suddetto accordo non ricomprende la formazione necessaria per svolgere i compiti relativi all’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, e di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza. Per tale formazione si rimanda alle disposizioni indicate all’art. 37, co. 9, e agli artt. 45, co. 2, e 46, co. 3, lett. b), e co. 4, del D.Lgs. n. 81/08.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito al criterio della diretta emanazione o almeno partecipazione per lo svolgimento di attività formative da parte di strutture formative delle Associazioni Sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori, degli Organismi paritetici e degli enti bilaterali. In particolare si chiede un parere in merito al concetto – sotto il profilo giuridico – della c.d. “diretta emanazione” o “partecipazione” alla luce della normativa vigente su esposta ed alla conseguente validità di un contratto di associazione in partecipazione, quale requisito idoneo a configurare, con riferimento alle strutture che operano per conto di Associazioni di categoria, Organismi paritetici e Enti Bilaterali, la predetta “diretta emanazione” o la “partecipazione”.
Al riguardo va premesso che l’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011, inerente i corsi di formazione per lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, ai sensi dell’art. 34, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 81/2008, individua, al punto 1, i soggetti formatori del corso di formazione e dei corsi di aggiornamento. In particolare, la nota del punto 1 del citato Accordo stabilisce che “le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, gli enti bilaterali e gli organismi paritetici possono effettuare le attività formative e di aggiornamento o direttamente o avvalendosi di strutture formative di loro diretta emanazione”.
Successivamente è stato emanato l’Accordo Stato-Regioni del 25/07/2012, concernente le linee guida applicative ed integrative dell’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011, il quale chiarisce che, “[…] gli organismi paritetici sono soggetti formatori per i datori di lavoro qualora effettuino le “attività formative o di aggiornamento direttamente o avvalendosi di strutture formative di loro diretta emanazione”. Tale previsione, applicabile anche alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e agli enti bilaterali, implica che gli organismi paritetici debbano svolgere attività di formazione direttamente o per mezzo di strutture formative proprie o almeno partecipate, senza poter procedere all’utilizzo di strutture esterne se non accreditate […]”.
Si ritiene che per esaminare se una struttura formativa di diretta emanazione dell’associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, degli enti bilaterali e degli organismi paritetici possa costituirsi mediante un contratto di associazione in partecipazione, risulta necessario declinare brevemente i tratti di tale figura contrattuale contemplata dagli artt. 2549 ss. c.c..
L’associazione in partecipazione è un contratto con cui il titolare di un’impresa (associante) attribuisce ad un lavoratore (associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto che può consistere anche in una prestazione di lavoro (vedi art. 2549 c.c.). La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, ma l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno (art. 2552 c.c.). Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione è stata contratta (art. 2552, co. 2, c.c.). Infine, salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto (art. 2552 c.c.).
Pertanto, l’associato opera sul mercato attraverso l’attività dell’associante che ha il potere di dirigere l’attività senza bisogno di accordarsi con gli associati in partecipazione. Questi, per contro, possono pretendere dall ’associante solo il rendiconto della sua attività per poter eventualmente effettuare dei controlli.
Stante quanto sopra, si ritiene che l’associazione in partecipazione soddisfi il requisito della diretta emanazione prescritto dall’Accordo citato in premessa in quanto lo svolgimento dell’attività formativa, che costituisce l’affare del contratto, è di diretta gestione dell’associante per il tramite dell’associato.
Soggetti formatori e accreditamento
Sono soggetti formatori del corso di formazione e dei corsi di aggiornamento:
a) le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anche mediante le proprie strutture tecniche operanti nel settore della prevenzione (Aziende Sanitarie Locali, etc.) e della formazione professionale; le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possono, altresì, autorizzare, o ricorrere a ulteriori soggetti operanti nel settore della formazione professionale accreditati in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma ai sensi dell’intesa sancita in data 20 marzo 2008 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2009. In tal caso detti soggetti devono, comunque, dimostrare di possedere esperienza biennale professionale maturata in ambito prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro o maturata nella formazione alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
b) l’Università e le scuole di dottorato aventi ad oggetto le tematiche del lavoro e della formazione;
c) l’INAIL;
d) il Corpo nazionale dei vigili del fuoco o i corpi provinciali dei vigili del fuoco per le Province autonome di Trento e Bolzano;
e) la Scuola superiore della pubblica amministrazione;
f) altre Scuole superiori delle singole amministrazioni;
g) le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori;
h) gli enti bilaterali, quali definiti all’art. 2, co. 1, lett. h), del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modifiche e integrazioni, e gli organismi paritetici quali definiti all’art. 2 co. 1 lett. ee), del D.Lgs. n. 81/08 e per lo svolgimento delle funzioni di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/08;
i) i fondi interprofessionali di settore;
j) gli ordini e i collegi professionali del settore di specifico riferimento.
Qualora i soggetti sopra indicati ai punti dalla lett. b) alla lett. j) intendano avvalersi di soggetti formatori esterni alla propria struttura, questi ultimi devono essere in possesso dei requisiti previsti nei modelli di accreditamento definiti in ogni Regione e Provincia Autonoma ai sensi dell’intesa sancita in data 20 marzo 2008 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 23 gennaio 2009.
NOTA: Le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, gli enti bilaterali e gli organismi paritetici possono effettuare le attività formative e di aggiornamento o direttamente o avvalendosi di strutture formative di loro diretta emanazione.
Requisiti dei docenti
In attesa della elaborazione da parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro dei criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto delle peculiarità dei settori di riferimento così come previsto all’art. 6, co. 8, lett. m-bis), del D.Lgs. n. 81/08, i corsi devono essere tenuti da docenti che possono dimostrare di possedere, una esperienza almeno triennale di docenza o insegnamento o professionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
CASO PRATICO
Ci si interroga al fine di sapere se:
– il consulente del lavoro che “abbia esercitato la professione per almeno 18 mesi” occupandosi anche di salute e sicurezza sul lavoro sia in possesso del criterio di qualificazione n. 4 previsto dal decreto 6 marzo 2013 per lo svolgimento di attività di docente nei corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
– il consulente “che abbia svolto attività professionale per almeno un triennio, seguendo i propri clienti anche in materia di salute e sicurezza del personale ed effettuandone i relativi adempimenti” sia in possesso del criterio n. 5 previsto dal decreto 6 marzo 2013 per lo svolgimento di attività di docente nei corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il decreto 6 marzo 2013, in vigore dal 18 marzo 2014 – attuativo della previsione di cui all’art. 6, co. 8, lett. m-bis, del D.Lgs. n. 81/2008 – definisce i criteri di qualificazione della figura di formatore per la salute e sicurezza sul lavoro dei quali deve essere in possesso il docente dei corsi di formazione per datori di lavoro che intendano svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione nonché per lavoratori, dirigenti e preposti.
I criteri, che vanno uniti al prerequisito del possesso del diploma di scuola superiore di secondo grado, individuati sono 6 e tendono a garantire una adeguata combinazione tra esperienza, competenza e capacità didattica del docente, allo scopo di innalzare il livello qualitativo delle lezioni. In applicazione del decreto 6 marzo 2013, i corsi di formazione per datore di lavoro che svolga “in proprio” i compiti di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, per i lavoratori, i dirigenti e i preposti possono essere tenuti unicamente da docenti che dimostrino mediante idonea documentazione (ad esempio attestazione del Datore di Lavoro, lettere di incarico ecc.) il possesso di almeno uno di tali criteri. Inoltre, il possesso di almeno uno dei criteri deve essere dimostrato dal docente – e, quindi, controllato dal soggetto organizzatore del corso – in relazione a ciascuna delle aree tematiche oggetto della docenza; ciò avuto riguardo alla circostanza che sempre il decreto 6 marzo 2013 divide le aree tematiche delle docenze in materia di salute e sicurezza in:
– area normativa/giuridica/organizzativa;
– area rischi tecnici/igienico–sanitari;
– area relazioni/comunicazioni.
Più nel dettaglio, il quarto criterio del decreto 6 marzo 2013 prevede espressamente quanto segue: “Possesso di un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a corso/i di formazione della durata di almeno 40 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro (organizzato/i dai soggetti di cui all’art. 32, co. 4, del D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.). Inoltre almeno 18 mesi di esperienza lavorativa o professionale coerente con l’area tematica oggetto della docenza. Più una delle seguenti specifiche (didattica):
– percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (es. corso formazioneformatori), o abilitazione all’insegnamento, o conseguimento (presso Università od Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in Comunicazione;
– docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza;
– docente, per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia;
– affiancamento a docente, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia”.
Il quinto criterio dispone, invece: “Esperienza lavorativa o professionale almeno triennale nel campo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, coerente con l’area tematica oggetto della docenza. Più una delle seguenti specifiche (didattica):
– percorso formativo in didattica, con esame finale, della durata minima di 24 ore (es. corso formazioneformatori), o abilitazione all’insegnamento, o conseguimento (presso Università od Organismi accreditati) di un diploma triennale in Scienza della Comunicazione o di un Master in Comunicazione;
– docente, per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni, in materia di salute e sicurezza;
– docente, per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia;
– affiancamento a docente, per almeno 48 ore negli ultimi 3 anni, in qualunque materia”.
Dalla semplice lettura della normativa appena riportata è dato evincere con evidenza quali siano i requisiti richiesti all’aspirante docente di corsi in materia di salute e sicurezza sul lavoro (sempre nel già descritto campo della salute e sicurezza sul lavoro), i quali hanno valenza generale e sono, in particolare, indipendenti dalla appartenenza ad un albo o ad un ordine.
Di conseguenza, chiunque (sia o meno un professionista), in possesso del diploma di scuola superiore, intenda avvalersi – per dimostrare di aver titolo a svolgere i compiti di docente in materia di salute e sicurezza sul lavoro – del criterio n. 4 di cui al decreto 6 marzo 2013 dovrà dimostrare di avere frequentato il corso di almeno 40 ore previsto dal decreto e di avere, al contempo, svolto per almeno 18 mesi “attività lavorativa o professionale” coerente con l’area tematica di docenza. La formula usata dal decreto indica la necessità che tale attività sia stata svolta in modo, per quanto non esclusivo, non episodico, in relazione alle aree tematiche di interesse. Inoltre, a tali requisiti l’aspirante docente dovrà aggiungere necessariamente una delle quattro alternative (percorso formativo in didattica, docenza…) indicate specificamente.
Allo stesso modo, chiunque intenda avvalersi del quinto criterio di cui al decreto 6 marzo 2013 dovrà dimostrare di aver svolto, sempre in maniera non episodica, per almeno tre anni “esperienza lavorativa o professionale” (…) “coerente con l’area tematica oggetto di docenza”. A tale requisito, occorrerà aggiungere la dimostrazione del possesso di una delle quattro alternative (percorso formativo in didattica, docenza…) individuate dalla norma.
Si ritiene, infine, opportuno sottolineare che il decreto 6 marzo 2013 specifica che il possesso dei criteri può essere dimostrato con qualunque mezzo idoneo allo scopo e, quindi, mediante qualsiasi idonea documentazione, (ad esempio attestazione del Datore di Lavoro, lettere di incarico, …), finalizzata ad attestare l’effettivo esercizio di attività professionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Tale riferimento esclude che sia sufficiente una mera “autodichiarazione” del soggetto.
Inoltre, sempre il decreto puntualizza che: “il triennio di riferimento decorre:
– dalla data di applicazione (12 mesi dopo la pubblicazione su G.U.) per chi è già qualificato a tale data;
– dalla data di effettivo conseguimento della qualificazione per gli altri”.
Organizzazione dei corsi
In ordine all’organizzazione dei corsi di formazione, si conviene sui seguenti requisiti:
a) individuazione di un responsabile del progetto formativo, che può essere anche il docente;
b) un numero massimo di partecipanti ad ogni corso pari a 35;
c) tenuta del registro di presenza dei partecipanti da parte del soggetto che realizza il corso, che può essere anche il docente;
d) assenze ammesse: massimo 10% del monte orario complessivo.
Insegnamento ed apprendimento
Per quanto concerne la metodologia di insegnamento e di apprendimento, occorre privilegiare le metodologie interattive, che comportano la centralità del discente nel percorso di apprendimento.
A tali fini è necessario:
a) garantire un equilibrio tra lezioni frontali, esercitazioni in aula e relative discussioni, nonchè lavori di gruppo, nel rispetto del monte ore complessivo prefissato per ogni modulo;
b) favorire metodologie di apprendimento basate sul problem solving, applicate a simulazioni e problemi specifici, con particolare attenzione ai processi di valutazione e comunicazione legati alla prevenzione;
c) favorire metodologie di apprendimento innovative, anche in modalità e-Learning e con ricorso a linguaggi multimediali, che consentano, ove possibile, l’impiego degli strumenti informatici quali canali di divulgazione dei contenuti formativi, anche ai fini di una migliore conciliazione tra esigenze professionali e esigenze di vita personale dei discenti e dei docenti.
Sulla base dei criteri e delle condizioni di cui all’Allegato I l’utilizzo delle modalità di apprendimento e-Learning è consentito per il Modulo 1 (normativo) ed il Modulo 2 (Gestionale) e per l’aggiornamento.
Percorso formativo
I percorsi formativi sono articolati in moduli associati a tre differenti livelli di rischio:
- BASSO 16 ore
- MEDIO 32 ore
- ALTO 48 ore
Il monte ore di formazione da frequentare è individuato in base al settore Ateco 2002 di appartenenza, associato ad uno dei tre livelli di rischio, così come riportato nella tabella di individuazione macrocategorie di rischio e corrispondenze – ATECO 2002-2007.
I percorsi formativi devono prevedere, quale contenuto minimo, i seguenti moduli:
MODULO 1.
NORMATIVO – giuridico
- il sistema legislativo in materia di sicurezza dei lavoratori;
- la responsabilità civile e penale e la tutela assicurativa;
- la “responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di responsabilità giuridica” ex D.Lgs. n. 231/2001, e s.m.i.;
- il sistema istituzionale della prevenzione;
- i soggetti del sistema di prevenzione aziendale secondo il D.Lgs. 81/08: compiti, obblighi, responsabilità;
- il sistema di qualificazione delle imprese.
MODULO 2.
GESTIONALE – gestione ed organizzazione della sicurezza
- i criteri e gli strumenti per l’individuazione e la valutazione dei rischi;
- la considerazione degli infortuni mancati e delle modalità di accadimento degli stessi;
- la considerazione delle risultanze delle attività di partecipazione dei lavoratori;
- il documento di valutazione dei rischi (contenuti, specificità e metodologie);
- i modelli di organizzazione e gestione della sicurezza;
- gli obblighi connessi ai contratti di appalto o d’opera o di somministrazione;
- il documento unico di valutazione dei rischi da interferenza;
- la gestione della documentazione tecnico amministrativa;
- l’organizzazione della prevenzione incendi, del primo soccorso e della gestione delle emergenze;
MODULO 3.
TECNICO – individuazione e valutazione dei rischi
- i principali fattori di rischio e le relative misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione;
- il rischio da stress lavoro-correlato;
- i rischi ricollegabili al genere, all’età e alla provenienza da altri paesi;
- i dispositivi di protezione individuale;
- la sorveglianza sanitaria;
MODULO 4.
RELAZIONALE – formazione e consultazione dei lavoratori
- l’informazione, la formazione e l’addestramento;
- le tecniche di comunicazione;
- il sistema delle relazioni aziendali e della comunicazione in azienda;
- la consultazione e la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- natura, funzioni e modalità di nomina o di elezione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Valutazione e certificazione
Al termine del percorso formativo, comprovata la frequenza di almeno il 90% delle ore di formazione previste da ciascun corso, è somministrata una verifica di apprendimento, che prevede colloquio o test obbligatori, in alternativa tra loro, finalizzati a verificare le conoscenze relative alla normativa vigente e le competenze tecnico-professionali.
L’elaborazione delle prove è competenza del docente, eventualmente supportato dal responsabile del progetto formativo.
L’accertamento dell’apprendimento, tramite verifica finale, viene effettuato dal responsabile del progetto formativo o da un docente da lui delegato che formula il proprio giudizio in termini di valutazione globale e redige il relativo verbale.
Il mancato superamento della prova di verifica finale non consente il rilascio dell’attestato. In tal caso sarà compito del Responsabile del progetto formativo definire le modalità di recupero per i soggetti che non hanno superato la verifica finale.
Gli attestati di frequenza, con verifica degli apprendimenti, vengono rilasciati sulla base dei verbali direttamente dai soggetti previsti al punto 1 del presente accordo e dovranno prevedere i seguenti elementi minimi comuni:
- Denominazione del soggetto formatore
- Normativa di riferimento
- Dati anagrafici del corsista
- Specifica della tipologia di corso seguito con indicazione del settore di riferimento e relativo monte ore frequentato
- Periodo di svolgimento del corso
- Firma del soggetto che rilascia l’attestato, il quale può essere anche il docente.
In attesa della definizione del sistema nazionale di certificazione delle competenze e riconoscimento dei crediti, gli attestati rilasciati in ciascuna Regione o Provincia autonoma sono validi sull’intero territorio nazionale.
Al fine di rendere maggiormente dinamico l’apprendimento e di garantire un monitoraggio di effettività sul processo di acquisizione delle competenze, possono essere altresì previste, anche mediante l’utilizzo di piattaforme elearning, verifiche annuali sul mantenimento delle competenze acquisite nel pregresso percorso formativo, nell’attesa dell’espletamento dell’aggiornamento quinquennale.
Aggiornamento
L’aggiornamento che ha periodicità quinquennale (cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione del presente accordo), ha durata, modulata in relazione ai tre livelli di rischio sopra individuati, individuata come segue:
- BASSO 6 ore
- MEDIO 10 ore
- ALTO 14 ore
L’obbligo di aggiornamento va preferibilmente distribuito nell’arco temporale di riferimento e si applica anche a coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’art. 3 del D.M. 16 gennaio 1997 e agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’art. 95 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Per gli esonerati appena richiamati il primo termine dell’aggiornamento è individuato in 24 mesi dalla data di pubblicazione del presente accordo e si intende assolto con la partecipazione ad iniziative specifiche aventi ad oggetto i medesimi contenuti previsti per la formazione del D.L.S.P.P.
Nei corsi di aggiornamento quinquennale non dovranno essere meramente riprodotti argomenti e contenuti già proposti nei corsi base, ma si dovranno trattare significative evoluzioni e innovazioni, applicazioni pratiche e/o approfondimenti nei seguenti ambiti:
- approfondimenti tecnico-organizzativi e giuridico-normativi;
- sistemi di gestione e processi organizzativi;
- fonti di rischio, compresi i rischi di tipo ergonomico;
- tecniche di comunicazione, volte all’informazione e formazione dei lavoratori in tema di promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Al fine di rendere dinamica e adeguata all’evoluzione dell’esperienza e della tecnica l’offerta formativa dell’aggiornamento sono riportate di seguito alcune proposte per garantire qualità ed effettività delle attività svolte:
- utilizzo della modalità di apprendimento e-Learning secondo i criteri previsti in Allegato I dell’Accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano;
- possibilità da parte delle Regioni e Province autonome di riconoscere singoli percorsi formativi d’aggiornamento, connotati da un alto grado di specializzazione tecnica ed organizzati da soggetti diversi da quelli previsti dall’Accordo predetto.
Prassi
Al fine di valutare l’andamento e la qualità delle attività formative attuate sul territorio nazionale, si conviene, in sede di prima applicazione, che le Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, condividano in sede di coordinamento tecnico interregionale, le informazioni e le prassi relative al nuovo impianto formativo, per proporre gli eventuali adeguamenti del presente Accordo in Conferenza Stato-Regioni.
Crediti formativi
Non sono tenuti a frequentare il corso di formazione coloro che dimostrino di aver svolto, alla data di pubblicazione dell’accordo, una formazione con contenuti conformi all’art. 3 del D.M. 16/01/1997, e gli esonerati dalla frequenza dei corsi ai sensi dell’art. 95 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626.
Per tali soggetti, così come indicato al co. 3 dell’art. 34, è previsto l’obbligo di aggiornamento secondo le modalità indicate dall’accordo.
Non sono tenuti a frequentare il corso di formazione i datori di lavoro in possesso dei requisiti per svolgere i compiti del Servizio Prevenzione e Protezione ai sensi dell’art. 32, co. 2, 3 e 5 del D.Lgs. n. 81/08, che abbiano svolto i corsi secondo quanto previsto dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato in G.U. 14 febbraio 2006, n. 37, e successive modificazioni. Tale esonero è ammesso nel caso di corrispondenza tra il settore ATECO per cui si è svolta la formazione e quello in cui si esplica l’attività di datore di lavoro.
Lo svolgimento di attività formative per classi di rischio più elevate è comprensivo dell’attività formativa per classi di rischio più basse.
Le competenze
Abbiamo detto che spesso si parla di “capacità e requisiti professionali”, per disegnare il profilo del R.S.P.P., ma dobbiamo aggiungere a queste qualità anche la “competenza”. Per “competenza”, si intende la caratteristica intrinseca di un soggetto che si traduce in una prestazione di successo ovvero l’insieme del bagaglio acquisito dall’unione delle conoscenze e delle capacità tecniche. Però questa definizione non basta per spiegare il concetto, infatti dobbiamo parlare anche di “professionalità” e vederla come l’insieme delle competenze (conoscenze e capacità) richieste per assicurare il raggiungimento degli obiettivi fissati riguardanti la sicurezza e la tutela della salute del personale dell’azienda. La componente fondamentale della professionalità del R.S.P.P. e dell’A.S.P.P., allora, è la capacità di adottare comportamenti in grado di massimizzare il trasferimento all’organizzazione aziendale del patrimonio specialistico di cui si è portatori.
CASO PRATICO
Ci si interroga in merito alla partecipazione obbligatoria, da parte di docenti nominati Responsabili del servizio di prevenzione e protezione, di seguito RSPP, ai corsi di formazione previsti per i lavoratori dall’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008. In particolare ci chiediamo se sia corretto che un Dirigente scolastico, datore di lavoro, obblighi i propri docenti, che hanno partecipato ai corsi di formazione previsti per gli R.S.P.P. ai sensi dell’art. 32 del D.Lgs. n. 81/2008, a sottoporsi ai corsi di formazione ed all’aggiornamento previsti per i lavoratori e i preposti, dall’art. 37 del citato decreto. Al riguardo si osserva che l’art. 37, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2008 obbliga il datore di lavoro ad assicurare a ciascun lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Invece, l’art. 32, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2008 prevede per i Responsabili e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione una formazione specifica, da svolgere secondo quanto definito nell’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006. Inoltre, l’art. 32, co. 5 bis, del D.Lgs. n. 81/2008, inserito dall’art. 32, co. 1, lett. c), della Legge n. 98/2013 dispone che “in tutti i casi di formazione e aggiornamento, previsti dal presente D.Lgs., in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, a quelli previsti per il responsabile e per gli addetti del servizio prevenzione e protezione, è riconosciuto credito formativo per la durata ed i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati.”. Il successivo art. 37, co. 14 bis, del D.Lgs. n. 81/2008, inserito dall’art. 32, co. 1, lett. d), della Legge n. 98/2013, prevede che “in tutti i casi di formazione ed aggiornamento, previsti dal presente D.Lgs. per dirigenti, preposti, lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, è riconosciuto il credito formativo per la durata e per i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati”. Sulla base dei contenuti formativi previsti dai differenti Accordi (Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006 per R.S.P.P. e A.S.P.P. e Accordo Stato-Regioni del 25 luglio 2012 per lavoratori e datori di lavoro che intendono svolgere i compiti del servizio di prevenzione e protezione), si ritiene che la formazione erogata ai docenti, per lo svolgimento dei compiti di R.S.P.P. e A.S.P.P. in conformità alle previsioni dell’Accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006, sia superiore e quindi comprensiva, per contenuti e durata, a quella da erogare ai lavoratori ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008. Per quanto concerne la formazione dei dirigenti e dei preposti lo stesso Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011 espressamente prevede che l’applicazione dei contenuti del presente accordo nei riguardi dei dirigenti e dei preposti, per quanto facoltativa, costituisce corretta applicazione dell’art. 37, co. 7, del D.Lgs. n. 81/08. Nel caso venga posto in essere un percorso formativo di contenuto differente, il datore di lavoro dovrà dimostrare che tale percorso ha fornito a dirigenti e/o preposti una formazione adeguata e specifica. La formazione degli R.S.P.P. e A.S.P.P., anche se con contenuto formativo differente rispetto a quello previsto per i preposti e/o dirigenti nell’accordo Stato-Regioni di cui sopra, garantisce sicuramente una formazione “adeguata e specifica”, come previsto dall’art. 37 del D.Lgs. n. 81/2008, in quanto rispondendo a criteri formativi più approfonditi sia di carattere normativo che scientifico, è da considerarsi esaustiva e ridondante rispetto a quella prevista per i lavoratori e per i preposti. A ciò si aggiunge che fra compiti del R.S.P.P., declinati nell’art. 33 del D.Lgs. n. 81/2008, vi è quello di provvedere “all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della .specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale”. Pertanto il docente, nominato R.S.P.P., sebbene lavoratore, è una persona che ha ricevuto una formazione “sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza”. Le considerazioni appena esposte valgono solo qualora il docente svolga le funzioni o di R.S.P.P. o di A.S.P.P. o, comunque, risulti essere ancora in possesso dei requisiti necessari per svolgere tali funzioni. La formazione è quindi valida, relativamente a quella prevista per i lavoratori e per i preposti, ma dovrà comunque essere integrata rispetto ad ulteriori eventuali aspetti specifici scaturiti dalla valutazione dei rischi.